‘Frida Kahlo’ come la Venere di Botticelli

‘Frida Kahlo’ come la Venere di Botticelli


Ali per Frida, Ray per Kahlo. Una regista per una pittrice, un’icona della pittura messicana e mondiale – con il sogno infranto di diventare medico -, un’artista contemporanea che già da tempo fa parte dell’universo della Storia dell’arte universale. 

La macchina da presa, fluida e silenziosa, scivola tra le vetrate della sua casa, Casa Azul, accarezzando da un lato la sedia a rotelle, dall’altro le setole dei pennelli e le polveri dei colori: così, visione e musica ci portano dentro la vita di Frida Kahlo – Ribelle. Donna. Simbolo, amplificata dai primissimi piani ai dettagli di alcune sue tele, sguardo che stringe sul talento quanto sulla sofferenza, perché guardare i chiodi dipinti sul viso o sulla pelle che copre il busto, l’eco di quel male intollerabile lo fanno avvertire. 

“Frida Kahlo era un genio … La sua opera trascende il tempo … Riusciva a esprimere, attraverso l’arte, l’indicibile. Ciò che è represso, ciò che è tabù, e dargli una voce”, queste le parole della prima “voce” che apre il film, sull’immagine portante di Autoritratto con abito di velluto, non il suo primo quadro, ma il suo primo autoritratto, per questo un’opera particolarmente importante. “Si presenta come una giovane donna attraente, seducente, emancipata … Sapeva di poter proporre un tipo alternativo di bellezza” in questo dipinto che realizza per il suo fidanzato del tempo, Alejandro Gómez Arias – compagno di scuola, con cui era sul bus quando le accadde il famoso e drammatico incidente che la costrinse a letto -, cui quando parla del quadro lo paragona a La nascita di Venere di Botticelli

Il tratto creativo personalissimo e perennemente riconoscibile, la vicenda personale eccezionalmente drammatica, quanto sprone per la sua produzione pittorica: Frida Kahlo, nata a Coyoacán – elegante quartiere della periferia di Città del Messico – nel 1907 e mancata nello stesso luogo nel ’54, è protagonista di un racconto filmico, opera prima di Ali Ray, che tesse gli ingredienti della sua personalità intima – la passione per tutte le sfere della vita, dalla politica per cui nel 1928 si iscrisse al Partito Comunista, quando cominciò a frequentare Diego Rivera, agli esseri umani – con testimonianze famigliari, come Cristina Kahlo Alcalà, nipote e fotografa, che racconta: “Guardare suo padre fotografare, fu il primo contatto di Frida con l’Arte: sono certa da lì arrivi la naturalezza con cui Frida ha posato per tutta la sua vita. Perché aveva imparato a posare da bambina per suo padre, Guillermo Kahlo”; inoltre, accompagnano il film studiosi e curatori di fama mondiale come Hayden Herrera – biografa e storica dell’arte, Adriana Zavala – Tufts University, Gannit Ankori – Brandeis University, Hilda Trujillo – direttrice Frida Kahlo Museum. 

Frida, ad un certo punto della sua esistenza, a Detroit rimase incinta di Rivera, perdendo il bebé dopo pochi mesi di gravidanza, e dipingendo così Henry Ford Hospital, “una delle prime opere d’arte che davvero hanno reso Frida Kahlo un’artista radicale, audace, unica nella Storia” sovvertendo completamente il canone di rappresentazione di un corpo femminile nudo in un letto, infatti “Lei dipinge un’esperienza, che è l’esperienza dell’aborto, qualcosa che non era mai stato rappresentato. Non era degno dell’Arte. Lei ha mostrato una donna nuda non come un oggetto del desiderio … mostra il suo sanguinamento vaginale. Quindi è una scena anti-natività e questo è un estremo”. 

Ali Ray ha dichiarato: “Dirigere questo film ha cambiato totalmente la mia visione di Frida Kahlo come artista. Prima non le avevo prestato molta attenzione, sentendomi un po’ scoraggiata dall’onnipresenza della sua immagine come icona sulle copertine di cuscini e magliette. Ora, avendo studiato le sue opere  più  da  vicino  e  comprendendo  il  loro  contesto  di  tempo  e  luogo,  ne  sono completamente affascinata. Avere accesso alle sue lettere personali è stata una parte fondamentale della realizzazione del film e nella mia comprensione del suo lavoro. Mi ha permesso di vedere come la fragilità e le insicurezze rivelate nelle lettere siano state elaborate attraverso l’atto della pittura. Le sue tele meticolosamente dipinte erano il suo modo di interpretare il mondo, la sua politica, le sue passioni ed emozioni, trasformandole in immagini di forza, sfida e comprensione”.

La collana ART ICONS raccoglie tre documentari – di cui Frida Kahlo è il primo – dedicati alle grandi figure dell’arte, opere filmiche distribuite da Adler Entertainment: il film sull’artista messicana esce in sala come evento il 22-23-24 novembre. 

Nicole Bianchi
18 Novembre 2021

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