TORINO – Un documusical ispirato a un unicum: Prato, Anni ’90, vita culturale della città gioiello dell’industria tessile italiana. Nonostante i tempi contemporanei, il mecenatismo di storica memoria lì non s’era sbiadito e questo slancio verso l’essere umano e il talento artistico permise di sottrarre alla speculazione edilizia il Teatro Politeama che avrebbe visto trasformata, se non deturpata, la sua essenza in una sterile rampa per accedere ai livelli cementati di un garage.
Lì sono nate le dive del Muto e del bianco e nero, Francesca Bertini e Clara Calamai, ma anche Bruno Banchini, grande campione di pallone elastico, che tornato in città ricco e famoso non spese la sua fortuna in donne&motori ma costruì un teatro, il Politeama.
La donna che riapriva i teatri, titolo del film – Fuori Concorso, sezione Ritratti e Paesaggi – era Roberta Betti, non una mecenate nobile di lignaggio secondo il canone antico, ma nobile nello spirito e nel pragmatismo: era figlia di un muratore e di una sarta e con lei sono state le titolari di una piccola impresa di pulizie, insieme a privati cittadini, a farsi soggetto di questo alto mecenatismo contemporaneo.
Francesco Ranieri Martinotti, già presidente ANAC, al TFF arriva in veste di sceneggiatore e regista di questa storia che mette al centro la persona, la voce e la vicenda dalla stessa Betti, che allora promosse la creazione di un comitato cittadino per acquistare dalla banca, proprietaria dell’immobile, il teatro, che ancora dopo trent’anni continua ad avere un cartellone ricco di spettacoli. Una storia di salvaguardia, conservazione e architettura della cultura, di cui poi l’anima della stessa sono le personalità degli artisti che ne possiedono l’essenza, che fanno esplodere con i loro talenti, inondando lo spazio e gli spiriti del pubblico, e dal Politeama di Prato sono passate le esperienze di Drusilla Foer – nel documusical narratrice “favolosa”, ovvero della favola reale di questa storia – di Giovanni Caccamo, Simona Marchini, Franco Godi, con vari allievi della scuola ARTEINSCENA.
“È un particolare oggetto cinematografico” per Martinotti, “una storia che non ha alla base tanti estimatori, a parte chi ama il teatro. Senza rassegnarsi, bisogna trasmettere alle nuove generazioni che esista un patrimonio con radici a cui tutti dovremmo essere più attaccati o arrabbiarci quando questa ricchezza rischia di scomparire” e “l’idea di raccontare come una favola è perché tutto pare talmente assurdo che… c’è un edificio Liberty presente in una città così importante a livello industriale, messo accanto al Duomo con gli affreschi di Lippi e il pulpito di Donatello, costruito da uno che era ‘il Totti del tempo’, che è… una favola! È una favola tragica e a lieto fine: Drusilla non è lì per cast ma perché fa parte di questa storia e se Drusilla è è Drusilla lo deve alla signora Betti, e ha fatto il documentario per riconoscenza”.
A Torino anche Giovanni Caccamo, tra i testimoni del film, ma anzitutto “uno dei ragazzi che ha beneficiato di questo coraggio: a 16 anni la mia formazione ha giovato di questa scuola di musical, quando a fine settimana alterni partivo da Ragusa per Prato, viaggiando per 13ore con la Freccia del Sud. Mia madre, rassicurata dalla mia insegnante di canto, Elisa Turlà, certa che questa scuola mi avrebbe dato una formazione a 360°, si convinse e il venerdì, appena finivo la scuola, prendevo il bus per Catania, due ore di viaggio, e poi la Freccia notturna, arrivando là la mattina, dove alle 8.30/9 iniziavano le lezioni; la domenica alle 15 terminavamo e io tornavo… a Ragusa. Era un’esperienza anche per mettere alla prova il mio talento: oggi sarebbe importante mettere a fuoco gli ostacoli tra desiderio e realtà, per chi vuol misurarsi con il mestiere artistico, per percepire quale sia il valore del raggiungimento di un sogno. L’importante dovrebbe essere il tragitto, durante cui domandarsi: ‘io tengo veramente a questa cosa?’. Betti ci ha permesso questo e le devo molto: ho un ricordo nitido di Roberta, della sua allegria materna, dello spronarci a fare di più e meglio. Per lei questa scuola rappresentava una famiglia, a cui faceva gravitare intorno persone di caratura”.
Martinotti continua mettendo a fuoco come il Politeama di Prato sia “un teatro costruito nel 1924, con la parte superiore, la cupola, apribile. Dopo l’incendio drammatico dello ‘Statuto’ di Torino, il Politeama doveva essere rimesso a norma e così i proprietari, impossibilitati a sostenere le spese, lo diedero alla banca, che pensò di demolirlo in favore di un garage multipiano: oggi sarebbe accettata passivamente una cosa così, ma non da Roberta Betti, che creò una società di azionariato popolare. Lei è stata direttrice artistica fino al 2020, quando è mancata, e il Politeama è uno dei teatri più importanti della Toscana”.
“Il collante della comunità del Politeama è stata Roberta, c’è sempre stato un punto di riferimento a Prato: lei stessa ciclicamente mi chiamava; i miei primi concerti – prima e dopo la vittoria a Sanremo – me li propose lì, accompagnando così le fasi artistiche della mia vita. Si è creata una comunità intorno alla sua idea e alla messa in pratica della stessa”.
Il film è prodotto da Camillo Esposito per Capetown S.r.l., in collaborazione con Rai Cinema e il Teatro Politeama Pratese, con il contributo del Ministero della Cultura – Direzione Generale per il Cinema, della Regione Toscana – Toscana Film Commission – Sensi Contemporanei, con il sostegno di Patrizia Pepe. Il film, distribuito da Kitchen Film.
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