Depardieu-Poelvoorde, in viaggio con papà

Il francese e il belga protagonisti del road movie vinicolo di Benoit Delépine e Gustave Kervern fuori concorso alla Berlinale


BERLINO – Gérard Depardieu & Benoit Poelvoorde, padre e figlio in una versione francese, e molto alcolica, di In viaggio con papà con qualche spunto di Sideways di Alexander Payne. I due attori, il francese e il belga, avevano già lavorato insieme in un’altra commedia di Benoit Delépine e Gustave Kervern (Mammouth), che era quasi un assaggio rispetto a questo Saint Amour, proposto dalla Berlinale fuori concorso. Infatti stavolta condividono la scena dal primo all’ultimo fotogramma. Il film è la storia di Bruno (Poelvoorde), figlio sfigato e avvinazzato del fiero allevatore di bestiame Jean (Depardieu): ogni anno Bruno non vede l’ora di andare a Parigi, alla fiera dell’agricoltura, solo per fare il giro degli espositori di vino e ubriacarsi fino all’ultimo stadio. Per lui la bottiglia è l’unica soddisfazione in una vita che non lo soddisfa: non ci sa fare con le donne e detesta l’azienda di famiglia… Ma stavolta il genitore, da poco rimasto vedovo, decide di coinvolgere il figlio in un viaggio dal vero nelle regioni vinicole francesi, dal Beaujolais al Bordeaux, accompagnati da un giovane e strano tassista (Vincent Lacoste). Nel ruolo dell’autista avrebbe dovuto esserci lo scrittore Michel Houellebecq: “Aveva accettato – spiega Kervern – ma dopo l’attentato a Charlie Hebdo è diventato un incubo girare senza security in un luogo pubblico, come la fiera agricola, con uno famoso come lui. Alla fine la scelta di Vincent ci ha permesso di avere rappresentate tre diverse generazioni e tre momenti distinti della vita, mentre per Houellebecq abbiamo trovato il piccolo ruolo del gestore del bed and breakfast”. 

I due registi hanno voluto mettere in scena, come spiega ancora Kervern, tre solitudini maschili – un vedovo, uno scapolo e un mitomane che si finge sposato – con tutti i problemi, anche sessuali, e farle incontrare con personaggi femminili fuori del comune, tra cui Chiara Mastroianni nei panni di una venditrice ambulante di pizza e Andréa Ferréol in quelli di un’affettuosa signora che invita Jean nella sua camera d’albergo e se lo porta a letto (ma senza fare l’amore). Oppure una ragazza affetta da menopausa precoce che teme di non poter restare incinta (Céline Sallette). “I ruoli femminili – dice Kervern – mancavano un po’ nei nostri film precedenti, qui abbiamo dipinto questi incontri, incontri ingenui che compongono un’ode all’amore senza cadere nella caricatura, ma in modo semplice e dolce”.

Per Depardieu, qui al festival anche con The End di Guillaume Nicloux, in cui interpreta un cacciatore che si perde nel bosco, è stata l’occasione per divertirsi con una commedia sui generis. “Oggi la commedia alla Audiard o alla Weber non esiste più, si fanno film per adolescenti, film televisivi che non mi interessano. Invece Delépine e Kervern parlano di situazioni reali, un padre e un figlio che si ritrovano con tante sorprese, anche comiche. Come in Mammouth, che era politico senza essere noioso e parlava di temi seri come la perdita del lavoro e dell’identità”. 

Appassionato di vini e viticoltore egli stesso, Gérard si è trovato a suo agio in questo road movie vinicolo cucito su di lui: “Per conoscere la vita, bisogna conoscere le strade dei vini”, sentenzia. E aggiunge di preferire il cibo europeo a quello americano”. Dei due registi, con cui è tornato volentieri a lavorare, loda la cultura e l’intelligenza. “Non prendono in giro la gente semplice, i contadini”. Non è dispiaciuto di non essere in concorso, “questo film è più importante di una qualsiasi competizione” e a proposito della sua infatuazione per la Russia di Putin, smentisce che alla passione sia subentrata una certa freddezza. “Non è vero che è finita, mi sento più russo che mai, più russo che francese, del resto come potrebbe essere altrimenti col presidente che abbiamo… Ammiro Putin anche se ci sono certi intellettuali, anche tra i miei amici, che lo criticano duramente… Ma non mi importa”. E non è mancata una sparata contro il Festival di Cannes. “Berlino è un grande festival, come Toronto o il Sundance. Non direi lo stesso di Cannes. Prima c’era la mummia Gilles Jacob, adesso ci sono Pierre Lescure e Thierry Frémaux. Non è lo stesso. E il cinema non è lo stesso. A buon intenditor!”.

Difficoltà a girare il film? “L’unica cosa difficile è stata quando ho scoperto che l’allevatore che ci ospitava era solo con 62 vacche e non poteva assentarsi per fare un’operazione chirurgica perché non aveva nessuno che lo sostituisse. Ho chiamato la mutua degli agricoltori perché gli dessero una mano, ma non è stato facile. Quelli sì che sono problemi”.

Delepine parla della dolcezza che Gérard ha portato al personaggio. E lui racconta: “Quando giravo Novecento, Bernardo mi diceva: non riesco a renderti antipatico anche se ti scrivo delle battute odiose. E’ vero, non sono mai cattivo, magari un po’ coglione ma cattivo no”. E aggiunge: “Credo alla felicità, ma sai di esserlo solo quando è finita”. Non manca un riferimento al tema di quest’anno, quello dei rifugiati: “Quello che sta accadendo è talmente grave che anche gli attori, come George Clooney, diventano uomini politici”.

19 Febbraio 2016

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