Dante Ferretti


Dante FerrettiChe grande, Dante Ferretti. Come tutti i geni di quei mestieri lì, i mestieri “limitrofi” a quelli del regista – direttore della fotografia, musicista o, come lui, scenografo – è anche un po’, o soprattutto, un artigiano. E degli artigiani ha la semplicità, la calma, la voglia di spiegarsi come se il suo lavoro, con dieci Nastri d’Argento, cinque David di Donatello e sette nomination all’Oscar, fosse il lavoro di un mastro Geppetto qualunque.
Si racconta, Dante Ferretti, al Film Museum di Berlino, davanti a una sala affolatissima di studenti di cinema. La Berlinale, quest’anno, in collaborazione con Cinecittà Holding rende omaggio alla sua arte, con una mostra di disegni, progetti e fotografie dal film Il nome della rosa, e con la proiezione del film E la nave va, frutto della sua collaborazione con Fellini.
Ma lui, con tanta gente intorno, va avanti tranquillo. Senza risparmiare neanche di raccontare i fallimenti. “Quando con Terry Gilliam abbiamo fatto Il barone di Munchhausen non fu un problema, peggio! Fu un disastro”, dice in inglese. “Ci siamo detti: Terry, sei un ragazzo fantastico, ma noi due insieme dobbiamo proibirci di lavorare per almeno altri tre film… Poi potremo ricominciare! Ma è stato un gioco bellissimo, quel mondo di Munchhausen da reinventare”.
Racconta come ha iniziato: “Era un film di serie c. Non serie b, proprio serie c. Un film di pirati, anzi due film di pirati, che venivano girati nello stesso tempo, con le stesse scenografie e con gli stessi attori. Solo i costumi erano diversi. Così si risparmiava. Avevo diciotto anni, iniziavo proprio dal basso, ma ne ero entusiasta. E’ stato un inizio fantastico”.

Come si prepara ai film da fare?
Faccio molta ricerca. Di solito, il film per me inizia con i libri. Leggo tutto quello che riesco a trovare sul periodo in cui è ambientato il film, poi vado a cercare le location.

Nel caso di “Gangs of New York” è tornato in Italia dopo dieci anni a Hollywood. Che effetto faceva?
Ottimo, perché Cinecittà è un ottimo posto per lavorare. Volevano girare in Canada, ma era troppo freddo, la buona stagione dura troppo poco. E poi in Italia ci sono dei ristoranti che in Canada se li scordano…

Come è lavorare in tandem con sua moglie, Francesca Lo Schiavo? E’ un caso abbastanza raro…
Ormai sono tanti anni, da quando facemmo La pelle con Mastroianni, di Liliana Cavani. E´ bello lavorare con una persona che ti conosce bene, che ti capisce in fretta. Poi, io sono molto attaccato alle persone. Lavoro, quando posso, sempre con lo stesso team. Credo molto nella squadra, e nei rapporti umani.

Adesso a che cosa sta lavorando?
“A un film di Brian De Palma, Black Dahlia. Giriamo in Bulgaria, anche se dobbiamo ricreare la Los Angeles degli anni ’40. E’ il mio destino, sempre dover reinventare cose che da un’altra parte sarebbero bell’e fatte…”. Ride. Lo sa che le sue città sono più vere di quelle vere.

13 Febbraio 2005

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