TORINO – Un calabrese che racconta un altro calabrese, Mimmo Calopresti racconta Gianni Versace, nel docufilm della sezione Fuori Concorso – Ritratti E Paesaggi del 41mo TFF: Gianni Versace. L’imperatore dei sogni.
“Io sono un calabrese-torinese e sto a Roma per fare cinema. Gianni Versace è un personaggio enorme per l’Italia intera: dopo la sua morte è rimasto nell’immaginario del mondo. Nel titolo uso ‘Imperatore’ perché è riuscito a sognare e realizzare. Sono andato a cercarlo nelle strade di Reggio Calabria, come io frequentavo le strade di Polistena: c’era la sua non voglia di studiare ma di conoscere la Magna Grecia, e la voglia di arrivare lontano con la sensibilità artistica. A 50 anni va a Miami quasi per occuparsi solo di arte: e lì c’è il mare, quasi come quello del lungomare di Reggio, mi ha molto colpito questa circolarità. Poi c’è la luce dello Stretto di Messina, particolare, la più bella del mondo, sempre tormentata: un passaggio incredibile, che c’è nell’Odissea e che illumina il mondo, arrivando dall’Africa e aprendo sull’Italia e tutto sta sopra il mare, così Versace aveva sempre negli occhi il mare e aveva un rapporto importante e continuo con la bellezza, che quella luce ha molto esaltato”, commenta il regista.
La mamma di Versace è stata la sua maestra di bottega, nella Reggio degli Anni ’50, durante l’infanzia di quel bambino prodigio della creatività applicata alla Moda, che ha conosciuto le luci della ribalta, passando per Milano e sbarcando poi in America. Se non fosse stato uno stilista, sarebbe stato un compositore, il suo idolo era Burt Bacharach, ne è certo lui stesso, come raccontava in un’intervista, ricordando l’adolescenza, quando ha conosciuto e cominciato ad ammirare anche Gershwin: “…volevo studiare musica ma mia mamma mi disse: ‘no, devi stare qui con me’. Mia mamma era sarta … era qualcosa che avevo nel sangue”.
“Ci siamo molto ispirati alle musiche delle sfilate, De André era una sua ossessione: lui è sempre stato un rivoluzionario. E a lui piaceva la Classica, la musica d’avanguardia, guardava con velocità quello che gli girava intorno. E la musica doveva collegare documentario e fiction, con la stessa velocità delle sfilate”, continua l’autore.
Le passerelle calpestate da muse, per lui – una su tutte – Carla Bruni, e l’occhio dietro l’obiettivo fotografico di Richard Avedon, fotografo statunitense con cui Versace “riscrive” il rapporto tra Moda e Fotografia: nel docufilm la biografia di Gianni Versace si compone tra il racconto delle personalità che hanno indossato le sue creazioni – la principessa Diana, Elton John, Madonna, Sting e Charlize Theron, e ancora Prince – e il materiale d’archivio che Calopresti sceglie come pilastro imprescindibile del racconto, per cui “è stato buonissimo il rapporto con Sergio Salerno che girava in pellicola, e aveva materiale inedito. Gianni Versace da un certo punto in poi ha deciso di girare tutto quel che faceva con lui. Trovare materiale importante era difficile, c’era molta televisione, ma era materiale base. E invece lui, Versace, le riprese le lavorava quasi come un regista”, spiega Calopresti.
L’eredità che Versace ha lasciato non è solo un impero della Moda ma è un marchio di fantasia, con uno spirito dall’impronta fortemente famigliare, che ha scritto uno spaccato della Storia sociale e che ancora influenza la creazione e il business di settore.
Il docufilm è interpretato da Leonardo Maltese (Gianni Versace) e Eugenio Caracciolo (Gianni Versace bambino), da Vera Dragone (Franca Versace), Pietro Clemensi (Antonio Versace), Antonio Oppedisano (Santo Versace), Clio Calopresti (Donatella Versace ragazza).
Gianni Versace. L’imperatore dei sogni “uscirà in sala a metà febbraio, siamo in contatto con 2/3 distributori importanti”, dice la produzione, che con Minerva Pictures ammette “stiamo discutendo. Non sappiamo cosa sia successo a Roma prima della ritirata garibaldina – dopo che il film era dato per certo nella selezione della Festa del Cinema 2023, ndr – ma vogliamo avere accanto Minerva: siamo impegnati con gli avvocati per trovare un accordo, per il bene del film”
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