Bellocchio tra la Monaca di Monza e ‘The Zone of Interest’: “la potenza di non vedere l’orrore”

Il regista ospite del convegno 'Manzoni e il Noir - Il caso Marianna De Leyva. Storie, cronache e indagini tra delitto e peccato'. L’ispirazione per 'Sangue del mio sangue' e una panoramica tra Storia e verità, proprie del suo cinema


MILANO – “Il Cinema l’ha spesso maltrattata, riducendola a un femminile indiavolato. C’è il gotico europeo e ci sono echi da Macbeth, in un laboratorio di modernità quale è la scrittura manzoniana”; “Il nero è un codice profondo di Gertrude e un trade union tra Letteratura e Cinema”; “Manzoni ci fa capire che la fantasia delle donne è una stanza buia, qualcosa di profondamente noir, instabile perché costretta in spazi coatti. Gertrude, infatti, ha una storia segreta di sogni e speranze annerite”; e ancora “Gertrude ha una potenza spettatoriale, perché si partecipa alle fantasie e ai sensi di colpa” e “Manzoni è capace di eccitare la fantasia in modo incomparabile. Sono storie entusiasmati le sue, c’è qualcosa di attivo, vivace e estremamente affettuoso, essendo così di una incomparabile generosità anche per il Cinema”.

Sono queste alcune delle considerazioni affermate e emerse dalla voci specialistiche che hanno preso la parola al convegno Manzoni e il noir – Il caso Marianna De Leyva. Storie, cronache e indagini tra delitto e peccato , appuntamento della seconda giornata del Noir in Festival 2023. E se – proprio a Casa Manzoni – sono intervenuti studiosi come Mauro Novelli e Daniela Brogi, scrittori quali Giancarlo De Cataldo, Luca Crovi, Ben Pastor, Marcello Simoni, s’è poi aggiunto il punto di vista di Marco Bellocchio, che per il suo Sangue del tuo sangue (2015), per Suor Benedetta, conferma di essersi certamente ispirato a quella della Monaca.

È Giorgio Gosetti – co-direttore del Noir in Festival con Marina Fabbri, in particolare curatrice della parte della manifestazione più connessa alla Letteratura – a dialogare con Marco Bellocchio, a cui subito domanda quale sia il suo rapporto con I promessi sposi e con Il Manzoni e Bellocchio, lieve e disincantato, sorridente e affabile come il tempo l’ha battezzato, senza troppa formalità risponde che “certamente per la mia generazione era una rottura di scatole (riferendosi allo studio scolastico): dapprima non l’ho mai letto ma poi l’ho letto appassionatamente durante il Covid, capendone il peso, a più di 80 anni; prima, leggendone solo dei pezzi, sì, mi avevano colpito. Il Manzoni al Classico era centrale: ci sono capolavori italiani trascurati al Liceo in favore del Manzoni. Io, poi, ho frequentato scuole religiose e, siccome Manzoni era il cattolico, tutto quello che c’era scritto lì andava bene… Solo più tardi mio fratello Pier Giorgio mi fece notare le cose cancellate rispetto al Fermo e Lucia“.

Però, ammette Bellocchio: “la peste è entrata nella mia esperienza umana col cinema: il film di CameriniI promessi sposi (1941) – mi terrorizzò, per molti anni”.

Gosetti procede specificando che la presenza di Bellocchio non richieda competenze specialistiche sul Manzoni, ma sollecita il parallelismo e l’apertura delle pagine storiche in riferimento a Sangue del mio sangue, per cui il regista conferma che “Suor Benedetta era direttamente ispirata alla Monaca manzoniana. Comunque, nel film di Camerini, va detto, la Monaca è totalmente annullata; mentre la mia curiosità cinematografica non fu tanto per raccontarla ma per indagare la punizione. Il libro nel passaggio: ‘…e la sventurata rispose…’ può accendere la fantasia: è un tocco straordinario usare solo tre parole e non dire null’altro, mentre il cinema si sarebbe subito impadronito di tutt’altro”.

Per Suor Benedetta, ma anche pensando ai due personaggi maschili “c’è un innesto; io ho fatto vari film in cui il suicidio ricorre e in questo volevo inserire che il gemello di lei si fosse suicidato, poi tornando, innamorandosene, con lei accusata di una sorta di stregoneria per cui viene murata. Noi avevamo fatto un corto a Bobbio sull’ epilogo e quindi poi abbiamo raccontato, in modo del tutto inverosimile, il prima e la liberazione di lei, 14 anni dopo, bellissima come era stata lasciata”.

Il Direttore rammenta il rapporto con la verità storica, tipica del cinema di Bellocchio, per cui “ogni artista ha la sua officina interna e a me piace molto la Storia ma se faccio un film – non che sia obbligatorio, certo – a me viene la voglia che scatti una certa infedeltà; in Rapito è tutto vero ma ci sono una serie di divagazioni che marcano quello che io voglio dire, è un modo libero”.

Giorgio Gosetti punta sull’interesse indagatorio verso la Storia che ha affermato Bellocchio, da Vincere a Il traditore. Per l’autore piacentino: “ci sono anche delle occasioni, un apparente pretesto può dare il là, come le ricorrenze, così il quarantennale di Moro mi accese un interesse semplice: quello che avevo raccontato 20 anni prima a modo mio (con Esterno, Notte) non prevedeva altri protagonisti, che però mi sarebbero interessati: così ho pensato al controcampo di quando lui aspettava. Ci deve sempre essere un motivo che vada oltre l’affermazione di una giustizia“.

Ci si sofferma su Vincere per entrare ulteriormente nel concetto e il regista spiega: “per me era interessante vedere grandissimi eventi attraverso il corpo di questa donna che, rovinando se stessa, voleva dimostrare di essere la moglie del Duce, in fondo laterale. Con questo spirito mi ha colpito The Zone of Interest: non si vede mai ma l’orrore assoluto ha una potenza oggi, 2023. Mi interessa trovare una maniera indiretta di raccontare, che non significa non essere diretto nel tono”.

Gosetti guarda, poi, alla struttura del racconto del fatto storico, in cui Bellocchio di solito sottolinea quando sia lui stesso aa mettere in chiaro la libertà della reinvenzione: “qual è il limite del diritto allo scatto storico?”, chiede direttamente il Direttore, e Bellocchio non ha dubbi: “credo molto alla legge morale: se hai imbrogliato è un conto, ma se hai un punto di vista è un altro. Come per la serie su Moro, Esterno Notte, per cui la figlia Maria Fida, dapprima, ha minacciato denunce accusandoci di sciacallaggio, poi all’uscita ha taciuto, perché credo si sia resa conto della buona fede e anche dell’affetto verso suo padre”.

Così, “su Buscetta – ne Il traditore – mi interessava raccontare cinematograficamente il Maxi Processo: c’erano una serie di immagini significative che potevano legarsi insieme e rappresentare un’universalità italiana. E anche lì ti devi porre la domanda di come raccontare e noi l’abbiamo fatto senza indugiare: penso a Sergio Leone che prima ha prologhi lunghissimi, con dettagli, finché poi risolve tutto in un istante con sangue e così via, questo per dire che ognuno ha il suo modo”.

Bellocchio, infine, a sintesi e chiosa dei punti toccati nella conversazione, conferma: “sto lavorando al caso di Enzo Tortora: a me non basta dire ‘sì, è assodato sia innocente’, ma mi piace scoprire o inventare qualcosa di più su una dimensione artistica del personaggio”.

 

Nicole Bianchi
02 Dicembre 2023

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