Attori italiani vs divi americani: la provocazione di Favino fa discutere

Le reazioni di Gabriele Salvatores, Pupi Avati, Edwige Fenech, Edoardo Pesce, Enrico Mario Artale, Alessandro Siani, Rocco Papaleo, Carla Signoris, Giorgio Tirabassi e altri personaggi


VENEZIA – “Il tema posto da Pierfrancesco Favino, che è un mio caro amico, è una questione molto complessa, su cui bisognerebbe riflettere in maniera più approfondita e comunque il fatto che oggi ne stiamo discutendo dimostra l’importanza del tema”, così il regista premio Oscar Gabriele Salvatores commenta le dichiarazioni dell’attore di Comandante e Adagio, che fanno discutere al Lido.

“Favino ha ragione, gli americani hanno avuto molto più spazio nei film italiani che non il contrario. Anche se Favino ha fatto diverse partecipazioni in film americani, ma non possiamo assolutamente fare un paragone”, dice all’Adnkronos Edwige Fenech. “Anche nel film House of Gucci, per carità gli attori sono grandi attori ma non sono italiani, oltre al fatto che sul film bisogna stendere un velo pietoso, non è certo il modo giusto di dipingere una famiglia”, aggiunge Fenech.

“La polemica di Favino io la condivido. Ha pienamente ragione. Visto che capita spesso che gli americani facciano film sugli italiani, ha perfettamente un senso che siano interpretati da italiani. Ferrari, un modenese, che viene dal Nebraska, fa un po’ ridere”, aggiunge Pupi Avati. “Quando ho girato il film su Dante Alighieri, noi siamo stati sedotti dall’idea di farlo interpretare ad Al Pacino – rivela Avati – Ma per quanto lui sia un italo americano, poi ci siamo ricreduti. E grazie a Dio abbiamo scelto Sergio Castellitto e Alessandro Sperduti, quindi attori italiani. Il film ha avuto un grande successo e questo conferma che con attori italiani il film ha una credibilità assoluta maggiore”.

“Quello che dice Favino è assolutamente giusto – conclude Avati – come loro pretendono di far interpretare gli americani agli americani, gli italiani devono essere interpretati d italiani. Anche perché se no la presa diretta, elemento fondamentale per giudicare la credibilità dell’attore, come la valutiamo?”.

Durante la conferenza stampa di El Paraiso, film in Concorso ad Orizzonti, il regista Enrico Maria Artale e il cast si sono espressi sulla questione. A partire dall’attrice colombiana Margarita Rosa De Francisco, che ha dovuto studiare l’italiano per oltre un anno per interpretare il personaggio di una donna immigrata da diversi anni nel nostro paese. “Sono d’accordo con Favino – ha affermato – perché raccontando una cultura propria si dà più autenticità alla storia”.

Il protagonista del film Edoardo Pesce, dopo avere specificato di non essere a conoscenza della questione, racconta un aneddoto: “Ho fatto una fiction a Palermo in cui interpretavo Giovanni Brusca, il dialogues coach mi mandava delle frasi su whatsapp che non sapevo neanche cosa volevano dire. Ma l’ho imparato. Ho imparato una musicalità che si avvicina al palermitano. Una volta, alla Vucciria, un attore palermitano, Francesco Benigno, mi ha detto arrabbiatissimo che non era giusto che facessero fare a un romano Giovanni Brusca. È un po’ come dice Favino, ma traslato tra i dialetti. Non credo che sia il linguaggio di un attore il problema, è l’intensità, il colore. Il linguaggio è l’ultima cosa. Adam Driver può anche fare Ferrari l’importante è che ci metta un’intensione significativa nel personaggio. De Niro ci ha vinto un Oscar interpretando un italiano”.

“Se uno dice che gli americani non devono fare film su personaggi che non sono americani, perché stanno facendo appropriazione culturale, mi pare un discorso un po’ ideologico come punto di vista, anche se logico. – conclude infine il regista Enrico Maria Artale – Ma se un regista come Mann decide di fare un film in lingua inglese, è obbligato a scegliere un attore di madrelingua inglese. Poi è anche una scelta industriale. Bisognerebbe ragionare sul fatto se è giusto, se si fa appropriazione culturale o meno, fare dei film nella lingua – e di conseguenza la cultura – che non appartiene ai personaggi. Deve essere un territorio di riflessione, non di polemica. Io non ce la farei. Ad esempio, la serie che sto facendo è ambientata a Marsiglia, mi hanno chiesto di farla in inglese e per me sarebbe una deformazione che non sarei in grado di compiere. Al tempo stesso, gli americani sono abituati in questo senso, anche per delle ragioni culturali e politiche prodonde, storiche che conosciamo”.

“Detto che la scelta degli attori la fanno i registi, Favino fa bene a portare avanti gli attori italiani. E se non lo fa lui, che in questo momento ha una grande esposizione, ben venga chi si prende la responsabilità di rompere gli argini della banalità e di raccontare qualcosa che magari si dice in uno stretto giro di persone ma poi nessuno ha il coraggio di dirlo ai quattro venti”, afferma l’attore e regista Alessandro Siani.

“E’ vero che per fare grandi personaggi italiani attori bravissimi italiani non mancano certo. E’ altrettanto vero che una produzione americana è libera di scegliere gli attori che vuole. Non ho un punto di vista chiaro sul tema sollevato da Favino e tuttavia eviterei di fare discorsi generici su una questione che ha aspetti complessi”, riflette l’attore Giorgio Tirabassi.

“Credo che sia assolutamente importante che la categoria degli attori italiani venga difesa non soltanto dagli attori ma anche dai produttori e dai distributori perché più saremo protetti e più il nostro cinema avrà un appeal”, dice l’attrice Carla Signoris.

Rocco Papaleo si schiera con Favino e anche l’attore e doppiatore Pino Insegno ne sostiene la battaglia: “Noi doppiatori in tempi non sospetti abbiamo fatto uno sciopero a favore di questo tema quando per I Promessi Sposi furono prese persone straniere, tra cui Danny Quinn, e noi abbiamo detto ‘grazie no: per i film italiani servono attori italiani'”. “Come gli americani chiamano gli spagnoli per gli spagnoli, i portoghesi per i portoghesi, i cinesi per i cinesi, così noi italiani almeno per il nostro bagaglio culturale se dobbiamo fare Michelangelo, con tutto il rispetto per Charlton Heston, dovremmo preferire un Favino, o un Santamaria, e così via”, sottolinea Insegno. Che per il film Ferrari di Michael Mann, che racconta la parabola verso il successo del modenese Enzo Ferrari avrebbe “chiamato un attore italiano nuovo, bravo, che magari grazie a questa interpretazione diventa un attore famoso. Il problema infatti è che non c’è stato un ricambio generazionale importante”, spiega.
03 Settembre 2023

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