A 87 anni si congeda una delle anime della Nouvelle Vague, Jacques Rivette. Era nato a Rouen il 1° marzo del 1928, figlio di un farmacista: completati gli studi superiori lasciò la provincia per Parigi, iscrivendosi alla Sorbona che frequenterà molto meno della redazione di una piccola rivista cinefila (la “Gazette du Cinéma”) che impone all’attenzione dei circoli intellettuali dividendone la linea editoriale con Eric Rohmer che sarà il suo più sincero amico e collega. I due sono legati dalla stessa visione intransigente del cinema, dalla passione per la letteratura e il teatro, le buone letture e un’idea del racconto come specchio della vita filtrata attraverso il pensiero. Ma del gruppo della “Rive Gauche” che ben presto andrà sotto le bandiere della Nouvelle Vague fanno parte Jean-Luc Godard e Claude Chabrol che a Rivette presta la casa per girare il suo primo cortometraggio di successo (Le coup du berger), nel 1956. In realtà la sua prima prova (Aux quatre coins) era del 1950, ma dal ’52 si era interamente consacrato alla scrittura critica, fino a diventare l’anima segreta del movimento artistico. Innamorato di Jean Renoir, riesce a farsi assumere come assistente in French cancan. E’ il 1958 quando fa il passo nella regia con il monumentale Paris nous appartient, un ossessivo pellegrinaggio notturno per le strade della città, sospeso nell’attesa di un possibile evento clamoroso. Lungo quasi due ore e mezzo, realizzato senza finanziamenti, il film rimane una pietra miliare del nuovo cinema francese con le sue riprese “a spalla”, i lunghissimi carrelli girati a mano. Rivette tornerà comunque alla sua passione da critico, diventerà capo-redattore dei “Cahiers du Cinéma” e per ben otto anni non si farà più tentare dalla regia.
Nel 1966, grazie a un finanziamento più importante, corona un suo sogno: portare la grande letteratura francese al cinema, dimostrando che Nouvelle Vague non è sinonimo di improvvisazione e contemporaneità ad ogni costo. La religiosa con Anna Karina nei panni della suora ribelle del romanzo di Diderot susciterà polemiche ed entusiasmi, sarà vietato dalla censura, scatenerà un movimento intellettuale favorevole che prelude già ai fermenti del ’68. Convinto finalmente del suo talento, il regista mette mano subito dopo alla sua opera più ambiziosa e fallimentare: L’amour fou che in oltre quattro ore mette in scena i rovelli privati di una coppia in crisi. E’ il contrario del movimentismo del ’68 (anno di realizzazione) e proprio per questo genera polemiche miste a passioni assolute. Una parte dei cineasti della Rive Gauche lo rigetta; un’altra parte ne fa la sua bandiera. Rivette, nel 1971, si lancia in un’impresa ancora più teneraria, Out 1, con un film della durata “impossibile” di 12 ore presentato in pubblico solo una volta. Dovrà crearne una versione ridotta per farlo circolare ma solo di recente gli appassionati hanno potuto vedere il film integrale.
Fa film ogni volta diversi, passando dalla leggerezza quasi impressionista di Céline e Julie vanno in barca (omaggio a Renoir) del ’74 alla severità calvinista de Le pont du Nord del 1981, dall’omaggio ai tempo della Nouvelle Vague (La bande des quatre del 1981) al cinema solare e classico di La bella scontrosa con cui vince a Cannes il Gran Premio nel 1993. Subito dopo renderà omaggio alla sua terra con il bellissimo Giovanna d’Arco diviso in due parti, interpretato da Sandrine Bonnaire. Ma in tutta la sua vita artistica Rivette resterà fedele a due donne: Bulle Ogier, la sua attrice-feticcio e Martine Marignac, la produttrice coraggiosa che ha sempre sostenuto le sue imprese “impossibili” affermando che “Rivette è un tesoro della cultura francese e che la sua voce non deve mai restare inascoltata”.La sua filmografia è di un rigore assoluto: un adattamento di Cime tempestose nel 1986, Chi lo sa? del 2001 con Sergio Castellitto, indagando i sentimenti e le sfumature del cuore come nella quadrilogia culminata (dopo un lungo silenzio generato dalla depressione) in Storia di Marie e Julien del 2003 con Emmanuelle Béart, La duchessa di Langeais nel 2006, nel 2009 dirige Jane Birkin e Sergio Castellitto in Questione di punti di vista, presentato in concorso alla 66ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Il Festival di Locarno gli ha conferito nel 1991 il Pardo d’onore.
“Jacques Rivette è stato uno dei più grandi cineasti. Ha segnato diverse generazioni”: lo scrive il presidente francese, Francois Hollande, in una nota diffusa a Parigi. “Prima di diventare regista fu un critico cinematografico”,ricorda lo stesso Hollande, aggiungendo: “Per la sua opera fuori norma gli è valso un riconoscimento internazionale. Cineasta della donna, Jacques Rivette, con film quali Suzanne Simonin, la religiosa, L’amour fou o La bella scontrosa, ha offerto ruoli di primo piano ad attrici che sono entrate nella storia del cinema”.
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