Abatantuono sindaco progressista: sì ai gay ma non a casa mia

Nella commedia di Alessandro Genovesi, in sala il 1° marzo con Medusa Film, Salvatore Esposito e Cristiano Caccamo tornano in Italia da Berlino per annunciare alla famiglia le loro nozze


“Sono tutti bravi a fare i gay a Berlino”: un’espressione che sembra un modo di dire, ma che racconta un intero film. Quello di Alessandro Genovesi (Il peggior Natale della mia vita, Happy Family), Puoi baciare lo sposo, prodotto da Colorado Film e Medusa, che lo distribuisce al cinema dal 1° marzo. Il protagonista Salvatore Esposito, lontano dai toni aggressivi e violenti di Genny Savastano di Gomorra – La serie, veste i panni del futuro marito di Antonio (Cristiano Caccamo), anche lui aspirante attore nella capitale tedesca.  

Una commedia corale in cui i personaggi “sono tutti lievemente scorretti ed escono dai cliché”, per Monica Guerritore, che nel film è la madre del bell’Antonio, tornato a Civita di Bagnoregio per annunciare alla famiglia le nozze con Paolo. Una madre che, appurato che non ci sarà una sposa, non rinuncia al matrimonio che ha sempre sognato per il figlio, tanto da ricorrere al wedding planner più famoso della tv, Enzo Miccio, che interpreta se stesso. Ben differente la reazione del padre, interpretato da Diego Abatantuono, il sindaco della città, contestato paladino dell’accoglienza dei migranti, che  – sottolinea l’attore – “quando si tratta della sua famiglia fa emergere il suo bigottismo” e si rifiuta di celebrare le nozze del figlio. Un tema quello del matrimonio gay, aggiunge Abatantuono, “perfetto per essere raccontato in una commedia: ad esempio, c’è forse un film più bello de La grande guerra per parlare di quel periodo storico?”.

In un viaggio della speranza al contrario, Antonio e Paolo tornano in Italia per uscire dalla clandestinità, accompagnati da due amici buffi e sopra le righe, Benedetta, interpretata da Diana Del Bufalo, una ragazza eccentrica, ricca, dolce e un po’ depressa, che si innamora di Donato (Dino Abbrescia), un tranviere pugliese, cacciato di casa da moglie e figlia perché si traveste da donna. Un gruppo ben assortito, completato da Camilla (Beatrice Arnera), l’ex fidanzata di Antonio, che non accetta la loro separazione e lo perseguita, e Don Francesco (Antonio Catania), il parroco francescano e anticonformista di Civita che, strizzando l’occhio alla Chiesa accogliente di Papa Francesco, si assume l’incarico di celebrare il matrimonio dei due ragazzi, per aiutare le cose a cambiare. Sullo sfondo una “città che muore”, dove non c’è lavoro per quei ragazzi, come Antonio e Paolo, che ogni anno migrano in nord Europa, e i simboli della Chiesa cattolica, a rappresentare la tradizione: la processione teatrale di Pasqua, il crocifisso caduto nella chiesa sconsacrata e l’immagine del Papa cui più volte volge lo sguardo Don Francesco.

Una storia in cui il tema del travestimento, accennato nelle diverse “divise”, del sindaco, del sacerdote e del Gesù rituale interpretato da Antonio, diventa esplicito nel personaggio di Donato, che ricorda Michel Serrault ne Il vizietto, vestito da donna a fianco di Ugo Tognazzi per accontentare il figlio e la futura nuora. “Il personaggio forse più risolto di tutti – secondo Abbrescia – che parte dalla provincia per liberarsi nella Berlino della gioventù, sfida i cliché e si traveste da donna senza essere gay, solo perché sta meglio così”.

Una scelta narrativa del regista, quella di evitare la rappresentazione macchiettistica e parodistica dei personaggi, su cui dice di aver spesso rivolto la camera a mano, contravvenendo alle regole della commedia all’italiana e mescolando i generi, tanto da inserire qua e là degli accenni di musical. Ispirato proprio a una commedia musicale di Broadway, “My big gay Italian wedding” di Anthony J. Wilkinson, il film è stato seguito, dopo la scrittura e prima delle riprese, dall’associazione Diversity, che si occupa di inclusione e diritti LGBTQI, rappresentata da Francesca Vecchioni che ha definito il film “più politico di tante altre iniziative, per la sua capacità di arrivare a tutti, come commedia mainstream”. Un’idea condivisa anche da Agedo, l’Associazione Genitori, Parenti, Amici di persone LGBTQI, il cui operato è stato più volte appoggiato pubblicamente dall’attrice Pamela Villoresi, presente in sala, che da anni difende le famiglie omogenitoriali: “La legge sulle unioni civili ha aiutato tante persone, anche se c’è ancora molto da fare e la commedia serve per sensibilizzare la maggioranza delle persone”.

27 Febbraio 2018

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