Cesare non c’è più, e sono tante le generazioni che si sono susseguite dopo la morte del ribelle che liberò le scimmie ridotte in “schiavitù” dalla razza umana, ed ora il mondo, è unicamente il loro. La prima sequenza funerea della morte di Cesare ci introduce in un nuovo universo post-apocalittico, dove le scimmie, ora straordinariamente evolute, onorano e hanno un vero e proprio culto per i loro defunti. Ambientato a secoli di distanza dagli eventi di The war – Il pianeta delle scimmie del 2017, Il regno del pianeta delle scimmie diretto da Wes Ball arriva nelle sale dall’8 maggio al cinema. In questo nuovo capitolo, le scimmie sono diventate la specie dominante del nuovo mondo e convivono tra loro in armonia. Strade e città sono diventate solamente un ricordo sbiadito della grandezza del dominio umano, ora la natura cresce rigogliosa su tutte quelle che erano le costruzioni di umana produzione. E gli umani? Sono solo “un’eco” e di loro non sembra esserci traccia, almeno per un po’.
Nel nuovo capitolo di Wes Ball, il racconto è interamente incentrato attorno a Noa, un giovane scimpanzé – dotato di una sbalorditiva aderenza emotiva rispetto a Cesare – che vive nella foresta insieme alla sua famiglia nel clan delle aquile, una tribù dedita all’addestramento delle aquile con cui sviluppa un intimo legame a partire da una giornata cerimoniale. Ma, oltre l’arte della falconeria, il linguaggio evoluto e la capacità di cavalcare, il gruppo sociale poco complesso, non sembra essersi sviluppato più di tanto e la loro, sembra solamente l’inizio della nostra di storia, quella più antica degli uomini di neanderthal limitati a piccoli villaggi e alla manifattura di piccoli oggetti. La quiete del piccolo gruppo di scimmie viene stravolta dall’attacco di un vero e proprio esercito di conquistatori, vestiti di rudimentali armature di umana memoria dotati di una lancia elettrificata che, guidati da Proximus – un’enorme scimmia post-apocalittica con tanto di corona –, rapiscono i membri della tribù accusata di aver dato rifugio a un’umana in fuga: Mae (Freya Allan).
In quella che è ormai diventata una guerra tra scimmie – come le nostre – le due diverse rappresentazioni dei primati abitanti del nuovo mondo, sembrano ripercorrere la medesima storia dell’evoluzione umana: le scimmie del clan delle aquile che vivono di semplici tradizioni e riti che suggellano la socialità, e poi le scimmie del regno di Proximus che rispondono invece agli impulsi umani più evoluti, ripescando direttamente dall’immaginario romano delle battaglie legionarie, dove il desiderio di conquista è la nuova spinta per l’ottenimento della supremazia sulla stessa specie. Nulla di diverso dunque, ne Il regno del pianeta delle scimmie, i primati ripercorrono la medesima traiettoria umana, compresa quella per la lotta al potere e alla riduzione in schiavitù dell’etnia ritenuta più debole, in questo caso il clan delle aquile. Ma è proprio la conoscenza e cultura a cui è interessato Proximus, la base di quella che fu la creazione della storia umana. Forse per evitare di ripetere il medesimo declino? Oppure si tratta della stessa tragica linea istintiva di un qualsiasi essere senziente?
Deciso a raggiungere il clan rapito, Noa intraprende il suo viaggio al fianco di Raka, un orango erudito incontrato lungo la strada, ultimo vero portavoce del mantra “scimmie insieme forti” del culto dell’Ordine di Cesare (completamente mistificato e distorto in chiave razzista da Proximus) e la giovane Mae, apparentemente selvaggia e incapace di parlare. Raggiunto il luogo in cui il clan viene tenuto in ostaggio, appare subito chiara l’identità della ragazza e il segreto che custodiva: proibire a Proximus e alla sua schiera di schiavi operai di abbattere l’enorme porta di un bunker che racchiude armi e altre strumentazioni di ingegno umano portate lì prima della supremazia delle scimmie. Ed è proprio in questo momento che la Storia delle scimmie subisce un improvviso ribaltamento e torna ed essere dominata attivamente dall’essere umano, Mae sottrae un oggetto importantissimo da quel deposito, offrendo così una tangibile apertura per l’avvio di una nuova trilogia che vede potenzialmente il ritorno degli umani in cima alla catena evolutiva.
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