Vincenzo Marra: pezzi di vita dal carcere di Secondigliano


VENEZIA – Ha già realizzato quattro documentari su Napoli, e con uno di essi, L’udienza è aperta, ha partecipato proprio alle Giornate degli Autori nel 2006 accompagnato da Roberto Saviano, che presentava il suo Gomorra ancora da sconosciuto. Il grande progetto sulla città partenopea, poi, Vincenzo Marra l’ha proseguito anche dopo la presenza in concorso alla Mostra con il film di finzione L’ora di punta, dirigendo Il grande progetto nel 2008, doc sulla riqualificazione urbana dell’ex sito industriale di Bagnoli. Ora la telecamera l’ha puntata all’interno del carcere di Secondigliano firmando Il gemello, finito anch’esso nella selezione ufficiale dei Venice Days. Un’opera chiusa dietro le sbarre della prigione, attaccata ai volti e ai gesti di due protagonisti principali: Raffaele Costagliola detto “il gemello” – 29 anni, due fratelli gemelli, in carcere per rapina da quando aveva 15 anni – e Niko Manzi, capo delle guardie carcerarie. Quest’ultimo cerca di introdurre nell’istituto – “di per sé già virtuoso rispetto alla maggior parte degli altri”, come ha specificato a Cinecittà News – delle regole più umane in vista di un reinserimento sociale dei detenuti. In quelle celle strabordanti di oggetti il santino della Madonna “fa pendant” con il calendario porno, le bottiglie d’acqua vengono usate per fare i pesi, “i muri sono mamma e papà”, come dice Raffaele, che all’occorrenza si trasforma in una massaia in grembiule per pulire il pavimento.

 

In un anno in cui i fratelli Taviani hanno vinto l’Orso d’Oro a Berlino con un’opera girata all’interno di Rebibbia, e in cui il protagonista di un altro film molto atteso come Reality di Matteo Garrone è anch’egli un detenuto, Marra esplora la condizione umana dietro le sbarre, la quotidianità della reclusione e, in filigrana, l’aggressività di un contesto assediato dalla criminalità organizzata. Il gemello offre uno scorcio su uno spicchio di Paese visto da un microcosmo, attraverso la vicenda di un uomo particolare: un detenuto che gode di grande rispetto nell’istituto di pena, dove lavora alla raccolta indifferenziata. Con un grande interrogativo sul momento in cui sarà di nuovo libero.

 

Il pubblico veneziano ha tributato applausi scroscianti a Marra, che alla presentazione ufficiale del film ha letto una lettera inviatagli da Raffaele Costagliola dalla prigione, in cui si legge: “Sono fiducioso nelle persone che mi circondano e soprattutto credono in me e possono darmi un futuro fuori da questo mondo di sofferenza. Il film mi ha fatto riacquistare la fiducia in me stesso”.

Da che spunto è partito?
L’idea de Il gemello è nata mentre giravo L’udienza è aperta e dal tribunale di Napoli vedevo dalla finestra il carcere di Poggioreale, il muro di cinta con la guardia che camminava avanti e indietro. Lì ho pensato che quello sarebbe stato alla base del mio prossimo capitolo napoletano.

Che è iniziato 12 anni fa con Estranei alla massa
Questo film rientra in un grande progetto iniziato nel 2000 con un approccio formale costante: ridurre lo spazio che separa il documentario classico dalla fiction, ad esempio eliminando le interviste seduti e le voci off, e proseguendo con il mio stile. Ho girato Il gemello in sole due settimane di riprese, una gestazione simile agli film girati allo stadio, in tribunale e a Bagnoli, tranne per il fatto che stavolta le riprese sono state più veloci perché ho accumulato tantissimo materiale in poco tempo.

Come mai secondo lei quest’anno il carcere e i detenuti sono stati così al centro dell’attenzione cinematografica?
La mia idea, proprio perché fa parte del progetto napoletano, è legata ai luoghi e non c’è nessuna connessione con questa tendenza diffusa a girare dietro le sbarre. Io tra l’altro ho finito il film a dicembre 2011, prima dei Taviani. Il mio immaginario piuttosto tornava a pellicole come Alcatraz, Il camorrista, Nel nome del padre, Fuga di mezzanotte…

Il gemello del titolo come l’ha individuato?
Raffaele l’ho scoperto frequentando la prigione, mi è sembrato un personaggio straordinario per mostrare qualcosa che la gente non si aspetta da un film sul carcere: il quotidiano, le piccole cose, i rapporti umani che finiscono per assomilìgliare a quelli in una famiglia.
E’ cambiata molto la mia idea del carcere facendo Il gemello.

Era immerso nella criminalità, in carcere sta facendo un percorso. Che cambiamento c’è stato nel frattempo dentro e intorno a lui?
Dal primo incontro che abbiamo avuto e fino alla fine del film Raffaele è cambiato. Era una persona molto complicata in gioventù, ora è maturato. Ma nessuno può dire con certezza cosa farà quando sarà libero tra qualche anno. Come si dice nel film sarà cambiata la geografia criminale intorno a lui, il contesto tornerà a essere pressante. E’ difficile che non ci ricaschi. Come dice Niko, quando si esce dal carcere c’è il problema delle “porte girevoli”. Se ci fossero più possibilità a Napoli, probabilmente ci sarebbero molti meno reati.

Quanto è stato difficile girare lì?
Nell’aprile 2011, per la prima volta ho fatto le richieste per entrare a girare nel carcere di Secondigliano, ho fatto un lungo casting e ci ho messo tantissimo tempo per trovare il “gemello”. Il mio canale principale è stato Niko Manzi, passando molto tempo in carcere ho stretto con lui un buon rapporto e ho deciso che sarebbe stato il co-protagonista. Poi ho trovato Raffaele.

Ora su cosa lavorerà?
Sto preparando ormai da tempo un film di finzione già esaminato dal MiBAC, ma passano le settimane e non succede nulla. Sono arrivato al punto che penso che vorrei andare all’estero, ma vorrei continuare a raccontare il mio paese, di idee ne ho molte.

04 Settembre 2012

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