Vesuvio, il “totem” di morte che ci insegna a vivere

Esce nelle sale il 14, 15 e 16 marzo Vesuvio - Ovvero: come hanno imparato a vivere in mezzo ai vulcani, il documentario di Giovanni Troilo che ci porta a scoprire la vitalità pulsante di Napoli nel r


Per chi vive a Napoli e nei suoi dintorni, c’è una minaccia quanto mai concreta ma difficile da accettare: prima o poi, tutto ciò che li circonda potrebbe essere ricoperto dalla lava e dalla cenere. Secoli di storia, cultura e bellezza potrebbero venire spazzati via in poche ore dall’esplosione di uno dei due temibili vulcani che stringono il capoluogo campano come in un abbraccio mortale. Da una parte il Vesuvio, iconico e stupendo nella sua temibile imponenza, dall’altra i Campi Flegrei, la grande caldera di uno dei super vulcani più pericolosi al mondo. L’accettazione di questa ineluttabile condizione è il tema su cui si interroga il documentario diretto da Giovanni Troilo Vesuvio – Ovvero: come hanno imparato a vivere in mezzo ai vulcani, nelle sale italiane dal 14 al 16 marzo distribuito da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection.

Il film si presenta come una raccolta di micro-documentari, una vera e propria collezione di personaggi che vivono le loro vite, all’interno o in prossimità della caldera, più o meno ignare del pericolo che ribolle sotto i propri piedi. Un casting potenziale di oltre un milione di persone, quelle che vivono nel raggio eruttivo dei vulcani. “Si è trattato di perdersi per due anni, – spiega Giovanni Troilo– cercare il modo di raccontare come potesse svilupparsi questa relazione tra uomo e vulcani. In alcuni casi siamo andati seguendo degli schemi logici, muovendoci su temi astratti. C’era ad esempio il tema del fuoco, per questo siamo andati nelle fonderie. E c’erano delle cose in cui ci siamo imbattuti in questo infinito girovagare in tutti i comuni di quella vastissima area che va dal Vesuvio e arriva fino ai Campi Flegrei. Man mano che siamo andati avanti nel documentario abbiamo seguito un metodo analogico e poi ovviamente è rientrata la fortuna. Ci siamo concessi il privilegio di perderci, rarissimo dal punto di vista produttivo”.

C’è il contadino che vive alla base della caldera, ci sono i creatori di fuochi d’artificio, c’è la stazione televisiva specializzata in musicisti neomelodici, ci sono gli allevatori di cavalli, i teatranti, le ostetriche, i sarti di alto profilo, l’indovina che preannuncia l’eruzione tra vent’anni e tanto altro ancora. Il vero cuore pulsante di Napoli, che pian piano si svela davanti agli occhi dello spettatore in tutta la sua lampante vitalità. Ed è come se la lava del Vesuvio gli fosse entrata sottopelle, sostituendosi al sangue delle vene. “È impossibile raccontare il rapporto con il vulcano attraverso una sola storia, per questo ne abbiamo scelte tante. – continua il regista  – Il fatto che ci sia una rimozione del pericolo è un comune denominatore. Molti, nel teatro di vita napoletano, arrivano a rimuoverlo addirittura nelle argomentazioni. È capitato che eravamo a Pozzuoli, che è dentro la caldera dei Campi Flegrei, chiedevamo come facevano a convivere con il vulcano e ci rispondevano spesso che tanto il Vesuvio era lontano. Il Vesuvio sta lì, bellissimo, è un totem con cui sia ha un rapporto quotidiano, ma l’altro vulcano non si vede, è sotto terra, e si genera questa modalità che induce a superare la sensazione di pericolo. Eppure il fatto che il pericolo esista e sia grande fa parte di tutti. La consapevolezza rimane e spinge a vivere la quotidianità, a spremere la vita in un altro modo”.

Alternato al documentario osservativo che caratterizza la maggior parte del film, ci sono gli inserti divulgativi di un esperto vulcanologo, in un mix sapiente che rispecchia le modalità con cui l’essere umano ha imparato a sopravvivere: con il pulsante desiderio vitale che sommerge la parte cosciente, quella vocina nella testa che ogni tanto appare per ricordarci dell’incombenza della morte. “Questo super vulcano ha la capacità di andare a modificare il clima mondiale. La città di Napoli è costruita interamente su una antica eruzione. E questo ti dà l’idea, da un punto di vista scientifico, di quale sia il reale potenziale e, dal punto di vista filosofico, che a Napoli non sei vicino a un vulcano, ma sei il vulcano, ogni particella è fatta dai suoi sedimenti”.

C’è poi l’aspetto più pratico, ovvero le soluzioni che si stanno sperimentando per portare in salvo la popolazione in caso di eruzione. Un piano apparentemente impossibile, considerando che si tratta di una delle zone più densamente popolate d’Europa. Eppure, nonostante la scienza non sappia ancora leggere alla perfezione il “sistema complesso” che sono i vulcani, rimane spazio per un certo livello d’ottimismo: “Per far funzionare questo piano d’evacuazione ci si poggia sul fatto che ci possano essere degli eventi precursori. Negli anni 80 è stata evacuata Pozzuoli, ma l’eruzione non si è verificata. Sei sempre al limite tra il mancato e il procurato allarme. Si spera che i segnali siano tanto evidenti da permettere una sicura evacuazione”. 

In fin dei conti, però, la vera speranza a cui tutti ci aggrappiamo, anche inconsapevolmente, è quella di non vedere mai con i nostri occhi il risveglio dei due mostri di fuoco. Come in una sorta di roulette russa tra le generazioni in cui ogni anno che passa aumentano le possibilità che la catastrofe avvenga, ci crogioliamo nel pensiero che i tempi umani non sono quelli geologici, e confidiamo che le eruzioni avvengano in un futuro così lontano da non toccare né noi, né i nostri figli, né i figli dei nostri figli, un futuro in cui Napoli sarà così diversa da quella che conosciamo da non riguardarci più.

14 Marzo 2022

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