Valeria tra i cannibali

Bruni Tedeschi è nel cast di 'Ma Loute' di Bruno Dumont, commedia grottesca e nerissima con scene esplicite di cannibalismo


CANNES – Dopo la mini-serie P’tit Quinquin, Bruno Dumont  insiste sui toni da commedia con Ma Loute, presentato a Cannes e interpretato, oltre che da un nucleo di attori non professionisti (cifra stilistica del regista) anche da star internazionali come Juliette Binoche e Valeria Bruni Tedeschi e da uno dei volti più noti del cinema e del teatro francese, Fabrice Luchini. Attenzione, però, perché non si tratta affatto di una commedia, ma di umorismo nerissimo, surreale, teatrale, sopra le righe e in alcuni tratti parecchio crudo – ci sono scene di cannibalismo esplicite – che però non rinuncia a mantenere un senso della meraviglia che potremmo definire felliniano, soprattutto quando il film, nella sua seconda parte, prende una piega inaspettata e comincia a procedere ‘a braccio’, seguendo più una strana sorta di associazioni di idee che i principi di causa/effetto. L’intreccio si basa sull’incontro di due famiglie, una di poveri pescatori, che vivono nel Nord della Francia – quello che abbiamo imparato a conoscere, anche con il successo di Benvenuti al Nord e del suo conseguente remake italiano, ovvero grezzo, selvaggio, inospitale ma anche dotato di una grazia e una bellezza affascinanti – e una di borghesi che si trovano lì in vacanza, e che per la verità hanno anche loro radici in quel territorio brullo, da cui poi si sono affrancati dopo essersi arricchiti. Le stranezze, però, come scopriremo, non stanno solo da una parte o dall’altra, e in entrambi i casi ci ritroviamo di fronte al classico esempio di eccentrici fin troppo fuori dagli schemi. Due versioni francesi de La famiglia Addams, come scopriranno loro malgrado i due buffi poliziotti (molto simili a Stalio e Ollio) che stanno indagando sulle sparizioni di turisti che funestano la regione.

“Ho fatto esattamente il film che volevo fare – dice il regista – una storia da’amore, ma anche poliziesco, crudele, pittoresco e con elementi di meraviglia. Il cinema è influenzato dalla pittura, cercavo anche dei colori particolari, ho dovuto affrontare il problema del digitale, che rende tutto iper-realistico, mentre in una storia in costume è necessario che lo spettatore percepisca una distanza anche visiva. In questo caso, però, anche se l’ambientazione richiama vagamente i primi del novecento, la storia è contemporanea. E’ atemporale, volendo. Penso che l’equilibrio tra elementi buffi e dramma sia fondamentale, anzi, è proprio il punto del film. L’esperimento era riuscire a rendere accettabili anche misfatti gravissimi, come il cannibalismo, perché risultano buffi. Gli attori sono come acrobati e gestirli è sempre difficile, ma è proprio questo il fascino del cinema”.

“Al cinema i registi sono i padroni – prosegue Luchini – in teatro è diverso, e io ne so qualcosa. Sei tu il capo della scena e ogni sera hai mille persone che vengono lì a vederti, ma qui ci si fida del capo della squadra. Per me il lavoro più grande è stato dipingere una caricatura lasciandogli però dei tratti di credibilità e realismo. Ho giocato su elementi caratteristici come questa fissa degli aperitivi che hanno i francesi. Io li odio, in verità, ti rovinano la cena e ti intasano le arterie. Ne farei uno solo al mio ultimo film”. “Non era un approccio facile – commenta Binoche – avevo piacere di essere sul set ma anche un po’ paura, per il luogo così particolare e poi per il personaggio, che viene da un passato di violenza”.

“Il mio personaggio – spiega infine Valeria Bruni Tedeschi – è invece estremamente misurato, chiuso in sé stesso. Dovevo lavorare di sottrazione ed evitare di esprimere fisicamente i miei impulsi di desiderio o aggressività. E’ stato un po’ doloroso ma in fondo un attore cerca questo, cerca luoghi di sé stesso che non conosce. Sono anche una regista e questo lavoro l’ho trovato prezioso”.  

13 Maggio 2016

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