Un eroe di Asghar Farhadi è stato presentato al Festival di Cannes 2021, dove ha vinto il Gran Prix Speciale della Giuria. Da allora si sono avvicendate accuse di plagio che sarebbero state rivolte a Farhadi da parte di una regista iraniana, Azadeh Masihzadeh. Queste voci si sono poi rivelate quantomeno fondate, tanto che è in corso un processo in Iran. Dal punto di vista mediatico il caso ha assunto delle proporzioni rilevanti un anno dopo la presentazione del film, nel 2022, e sempre a Cannes, dove Farhadi ha fatto parte della giuria del Festival. Nell’occasione la stampa presente ha chiesto con insistenza a Farhadi di rendere conto della questione, e il regista iraniano due volte premio Oscar ha negato qualsiasi accusa, invitando a non diffondere notizie se non supportate dai fatti.
Lo scorso 31 ottobre il New Yorker ha pubblicato un articolo lungo e molto approfondito di Rachel Aviv nel quale le accuse di Azadeh Masihzadeh vengono scandagliate con estrema precisione e dovizia di fonti e particolari.
Prima di fare chiarezza e riportare quanto si apprende nell’articolo in questione sono necessarie alcune premesse. All’articolo del New Yorker ha risposto, sul sito Indiewire, il team legale di Farhadi (più avanti, in questo articolo, riporteremo le loro dichiarazioni tradotte). Il New Yorker ha contro-risposto affermando che: “Rachel Aviv ha scritto un resoconto giusto e fattuale, supportato da numerose fonti registrate e confermato dai nostri fact checkers (notoriamente tra i migliori al mondo, ndr). Aviv ha parlato a lungo con il signor Farhadi – più di 12 ore di intervista – e l’articolo esamina a lungo il suo punto di vista e tiene conto del suo contributo sostanziale. Il New Yorker conferma la storia”.
Cercando di sintetizzare i moltissimi fatti raccolti da Rachel Aviv, proponiamo qui di seguito un resoconto cronologico dell’accusa mossa da Azadeh Masihzadeh ad Asghar Farhadi.
Le accuse di plagio per Un eroe
Il primo incontro tra Masihzadeh e Farhadi
Le accuse di plagio ad Asghar Farhadi sono state mosse dalla regista iraniana Azadeh Masihzadeh, la quale afferma che Farhadi abbia usato la storia del suo documentario All Winners, All Losers per la realizzazione di Un eroe. Qui è possibile vedere interamente il documentario:
Nel 2014 Azadeh Masihzadeh, partendo da Shiraz, la sua città di provenienza, si reca a Teheran per frequentare un seminario di regia tenuto da Farhadi presso il Karnameh Institute of Arts and Culture. La masterclass è molto ristretta: solo 18 studenti sono stati ammessi al più costoso corso mai offerto dall’istituto, circa 1500$.
Farhadi ha subito comunicato agli studenti e alle studentesse che il corso avrebbe avuto come fulcro i documentari, e il focus principale sarebbe stata l’esplorazione del concetto di eroe, del suo status e di come si possa ottenerlo. Per l’occasione Farhadi ha portato dei ritagli di articoli che dipingevano come eroi persone che hanno deciso di restituire oggetti di valore dopo averli trovati in modo accidentale. In seguito Farhadi ha diviso la classe in gruppi, chiedendo di effettuare ricerche su notizie simili per la realizzazione, poi, di un progetto di fine corso.
Masihzadeh ottenne da Farhadi il permesso di agire autonomamente, e cercò la sua storia proprio a Shiraz. Grazie alla zia di un’amica venne a conoscenza della storia di Mohammadreza Shokri, un uomo che, in congedo dal carcere, aveva trovato molti soldi, che aveva poi deciso di restituire. Non riuscendo a trovare nessun articolo a riguardo (e questo è un particolare decisivo nelle accuse di Masihzadeh), andò nella tv locale che aveva trasmesso il servizio a riguardo e chiese alla redazione di poter vedere il segmento della notizia mandata in onda. Poco tempo dopo Masihzadeh ha esposto la storia in classe, davanti a Farhadi, e questo è un fatto documentato, perché la studentessa del corso Rola Shamas ha videoregistrato ogni lezione. Circa tre mesi dopo, Masihzadeh ha mostrato alla classe una parte del lavoro, ancora in fase di realizzazione. Il corso, con somma delusione degli studenti, durò solo cinque lezioni invece che dieci come previsto ma, a detta di Masihzadeh, la delusione era controbilanciata dall’onore di essersi confrontati con un regista che è una leggenda vivente, in patria e non solo (l’unico nel XXI secolo a vincere due Oscar nella categoria miglior film Internazionale). All Winners, All Losers, il documentario di Masihzadeh, stava riscuotendo un buon successo di pubblico e critica (premio Speciale della Giuria allo Shiraz Film Festival 2018), e le prospettive erano quelle di portarlo in giro per i festival del mondo.
Il secondo incontro
Il primo nodo della storia avviene nel 2019. Masihzadeh e Farhadi si incontrano di nuovo, e di nuovo a Teheran. Stavolta Farhadi teneva un seminario di sceneggiatura presso il Bamdad Institute. Masihzadeh, che nel frattempo si era trasferita in pianta stabile a Teheran, dove aveva fondato la sua casa di distribuzione di cortometraggi, decide di iscriversi. Secondo lo studente partecipante al corso Mohammadreza Shirvan, “Farhadi si fermò quando vide Masihzadeh”, il primo giorno del corso. Nell’agosto del 2019, durante una delle ultime lezioni del corso il direttore dell’istituto disse a Masihzadeh che Farhadi e sua moglie Parisa Bakhtavar (anch’essa regista) volevano incontrarla. Quello fu il momento in cui Farhadi comunicò a Masihzadeh che stava girando proprio nella sua Shiraz un film che si sarebbe intitolato Un eroe. Secondo la versione di Masihzadeh, Farhadi le chiese di prendere parte al film come attrice, lei rifiutò perché non in grado, e si propose come assistente, visto che la sua conoscenza della città poteva tornare utile. A quel punto Farhadi le ha sottoposto un foglio dattiloscritto. Masihzadeh pensava fosse il suo contratto per lavorare sul set, ma il foglio diceva:
Io ____, figlia di ____, titolare di carta d’identità n. ____, residente a ____, con la presente, in piena salute fisica e mentale, e con il totale consenso, dichiaro che il film documentario “All Winners, All Losers”, che è stato prodotto tra 2013 e 2019, si basa sulla proposta e sull’idea del Sig. Asghar Farhadi che ha condiviso nel suo laboratorio di regia di documentari.
Dopo un momento di disorientamento, Masihzadeh ha chiesto a Farhadi se Un eroe avesse una qualche relazione col suo documentario. La risposta di Farhadi fu che aveva scritto il film prima che lei realizzasse il suo documentario.
Masihzadeh decise di compilare il foglio con la dichiarazione. Secondo quanto dichiara Masihzadeh, la settimana successiva avrebbe chiesto a Farhadi di rivedere quella dichiarazione, ma Farhadi non accettò. Questa versione dei fatti è stata smentita da Farhadi. Ci sarebbero altri particolari da aggiungere, come il fatto che nei mesi successivi, dopo il termine del seminario, Masihzadeh non sia mai riuscita a mettersi in contatto con Farhadi, anche quando si è recata sul set di Un eroe, a Shiraz, dove le è stato detto che il regista non poteva riceverla. La percezione di Masihzadeh è che la stesse evitando, la versione del regista è che fosse davvero molto impegnato.
La proiezione a Cannes e l’inizio della vicenda legale
Dopo l’anteprima di Un eroe a Cannes, alcuni conoscenti di Masihzadeh la chiamarono per dirle che il nuovo film di Farhadi era effettivamente ambientato a Shiraz e i fatti raccontati nel film avvengono durante il congedo dal carcere del protagonista. Masihzadeh non era accreditata in nessun modo, né inserita tra i ringraziamenti. Intervistato da BBC Persian, Farhadi disse che l’idea del film venne da un seminario che aveva tenuto “con scopi di ricerca”. In un’intervista al sito Deadline dichiarò che Un eroe non era ispirato a nessun fatto specifico. Il sito iraniano di cinema Café Cinema rilevò immediatamente la somiglianza tra il film di Farhadi e il corto documentario di Masihzadeh. Concentrando in estrema sintesi i fatti che si sono poi susseguiti: Masihzadeh ha sporto denuncia per plagio, Farhadi l’ha a sua volta denunciata per diffamazione e diffusione di notizie false (reato che in Iran può valere fino a un anno di reclusione o 74 frustrate). Gli avvocati di Farhadi hanno offerto a Masihzadeh 1600$ per il suo contributo a Un eroe, un film che ha incassato quasi 3 milioni, e le ha proposto di comparire nei crediti come membro del team di ricerca. “Non sono stata una ricercatrice per Un eroe, ma la regista del mio documentario”, ha risposto Masihzadeh.
Come anticipato, in seguito alla pubblicazione dell’articolo sul New Yorker, i legali di Farhadi hanno inviato a varie testate statunitensi una risposta, che qui riportiamo:
Rachel Aviv ha ignorato e distorto i fatti per presentare una visione unilaterale nel caso di violazione del copywright che coinvolge il regista iraniano Asghar Farhadi, anche se il signor Farhadi ha fornito alla signora Aviv ogni possibilità di presentare una storia veritiera e oggettiva. L’autrice ha omesso quasi ogni documento fornito da Farhadi in merito alle dichiarazioni a cui si fa riferimento nell’articolo. Il signor Farhadi ha collaborato con successo con altri artisti per 25 anni; la signora Aviv ha scoperto una manciata di persone che si lamentano di non essere state ringraziate abbastanza.
La spina dorsale della storia della signora Aviv è il caso di Un eroe. È un dato di fatto che il film parla di un evento reale pubblicato su giornali e sui media due anni prima del documentario della signora Masihzadeh. Un altro dato di fatto: è stato il signor Farhadi, in primo luogo, a dare questa idea agli studenti. Nel raccontare il procedimento legale, la signora Aviv trascura di riferire che la signora Masihzadeh ha chiesto una quota di tutti i guadagni e i premi del film all’interno e all’esterno dell’Iran e che voleva che il film fosse titolato nuovamente citando il fatto che è basato sul suo documentario. Queste richieste non potevano essere soddisfatte – e non sarebbero state soddisfatte da nessun altro regista al mondo.
In tutto l’articolo la signora Aviv crea un grande melodramma attorno a questioni contrattuali ordinarie e aneddoti fuorvianti che il signor Farhadi ha affrontato uno per uno nella sua discussione con la giornalista. Ha fornito interviste, dichiarazioni verbali di terzi e documenti, nessuno dei quali è entrato nell’articolo. Ma ciò che è veramente eclatante è il modo in cui la signora Aviv usa questo caso giudiziario come un modo per presentare sotto una falsa luce le opinioni politiche del signor Farhadi. Con tutto ciò che sta accadendo in Iran in questo momento, è scoraggiante vedere il New Yorker dedicare così tanto spazio a una questione che è di routine a Hollywood ogni giorno. La signora Aviv sembra aver ceduto alla tentazione di un titolo sensazionalistico al posto di un giornalismo oggettivo.
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