Turista per caso nella Bosnia della guerra

La regista Jasmila Žbanić in 'For Those Who Can Tell No Tales', presentato al Festival di Lecce, affronta la rimozione e la negazione degli omicidi e degli stupri subiti dai musulmani bosniaci


LECCE. Con la sua opera prima Grbavica-Il segreto di Esma, Orso d’oro a Berlino 2006, la bosniaca Jasmila Žbanić raccontava il dramma del dopoguerra nella Sarajevo di oggi dal punto di vista delle vittime civili. In particolare il rapporto tra una madre e una figlia nata dopo lo stupro subìto da un cetnico durante l’assedio dei serbi-bosniaci alla città. Una guerra nella ex Jugoslavia che ha lasciato ferite aperte e di cui la regista torna a occuparsi con il suo terzo film For Those Who Can Tell No Tales, presentato in anteprima al Festival del cinema europeo, dopo il precedente On The Path, che trattava l’estremismo religioso, e in attesa del suo nuovo lavoro, la commedia romantica Love Island, attualmente in post produzione.

For Those Who Can Tell No Tales riprende nel titolo una frase del Nobel per la letteratura (1961) Ivo Andrić, noto per il romanzo “Il ponte sulla Drina”. Quel ponte, costruito 500 anni fa sulle rive della cittadina di Visegrad (dove lo scrittore frequentò la scuola), ed eretto tra due mondi, quello musulmano bosniaco e quello serbo, è stato testimone nel tempo di reciproche violenze e persecuzioni. Ultimi gli omicidi di massa subiti dai musulmani bosniaci nel 1992, durante l’occupazione di Višegrad da parte dell’esercito jugoslavo e poi delle milizie serbe.

La Žbanić si è ispirata a una pièce dell’attrice australiana Kym Vercoe, che racconta un’esperienza vissuta in prima persona quando, su suggerimento di un amico, ha deciso di visitare la Bosnia come una qualsiasi turista. Il suo primo viaggio la porta anche a Višegrad dove si scontra con la rimozione e la negazione di quanto avvenuto oltre 20 anni prima. In quei luoghi circa 1800 persone sono state brutalmente assassinate nel 1992. Addirittura la guida turistica che Kym porta con sé le consiglia l’hotel Vilina Vlas, non facendo alcuna menzione che in quel posto 200 donne musulmane sono state violentate e uccise. Un viaggio, quello della protagonista, dentro la storia rimossa, perché “la negazione non fa solo parte della guerra recente in Bosnia, ma è una vicenda universale”, ricorda la Žbanić.

Per il film, autoprodotto con la società fondata insieme al marito, l’autrice ha voluto “come protagonista una outsider, una turista che rappresenta un punto di vista oggettivo non avendo vissuto quella realtà”.
Non è stato semplice girare nella parte serba della Bosnia-Erzegovina, in particolare a Višegrad. “Alcuni dei responsabili dei crimini di guerra, nonostante siano stati processati, fanno parte della polizia, delle istituzioni governative, si occupano addirittura della formazione scolastica. Costoro sono convinti di essere nel giusto, di avere la ragione dalla loro parte. Abbiamo così capito che, a distanza di anni, non era possibile girare dichiarando apertamente quale fosse la tematica del film”. La regista ha chiesto allora aiuto a un amico serbo, che ha finto di voler realizzare un film a carattere turistico promozionale.

“Molte persone non vogliono che si parli di ciò che è successo a Višegrad. La pace nei paesi del dopoguerra è tutt’altro che romantica”. Ora il problema è proiettare liberamente questa opera, con l’intento di dare voce alle donne vittime di quella violenza e di avviare un dialogo e un confronto su quel terribile periodo.
“Dobbiamo cercare di superare il passato giocando a carte scoperte, non nascondendo quanto avvenuto. Perché le vittime sono obbligate a conquistare la loro credibilità e i colpevoli continuano a negare? E’ venuto il tempo per i giovani bosniaci  di emanciparsi dal passato, di spezzare i legami con l’orrore di ieri”.
E la regista segnala come un evento nuovo e simbolico la rivolta dello scorso febbraio a Tuzla contro le autorità governative, un tumulto non nazionalistico, che ha visto la gente comune prendersela con i propri leader che si sono arricchiti. “Non va dimenticato che all’origine delle guerre ci sono solo ragioni economiche, e per quel che ci riguarda la trasformazione della proprietà pubblica in privata”.

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