VENEZIA – Venezia, Napoli, Milano, Parigi sono i luoghi scelti per raccontare il mestiere del teatro, visto con l’occhio della macchina da presa, dietro cui dirige Massimiliano Pacifico. Il documentario non narra la macchina teatrale nel suo complesso, ma nello specifico quella messa in moto per lo spettacolo Elvira di Toni Servillo, prodotto dal Piccolo Teatro di Milano con Teatri Uniti che compie 30 anni, e tratto dalle lezioni di Louis Jouvet nella capitale francese degli anni ’40, e connesso direttamente al Don Giovanni di Molière.
Gli occhi dell’autore e della macchina da presa seguono Servillo e i suoi compagni di scena, un viaggio dalla Biennale di Venezia al teatro de l’Athénée di Parigi, in un doppio passaggio intermedio nel capoluogo partenopeo e in quello lombardo. È questa l’avventura umana e creativa di un progetto teatrale, ma anche l’occasione per dialogare sul mestiere e l’etica dell’arte teatrale. “Non c’è stato qualcosa di studiato a tavolino, per questo film. C’è stato un percorso iniziato da anni con Teatri Uniti, un percorso di contaminazione reciproca: ho vissuto il teatro come una casa. Ho portato in quel contesto il mio modo di lavorare come documentarista, che racconta le storie senza interagire troppo, in maniera quasi invisibile, osservando. Un approccio che Servillo gradisce molto, perché è una persona molto concentrata sulla sostanza del lavoro. Questo fa gioco al mio interesse creativo, perché penso di riuscire a tirar fuori momenti di vera realtà più forti rispetto ad una mia veicolazione con domande o situazioni costruite”, queste le parole del regista Massimiliano Pacifico per spiegare il suo metodo di ripresa e narrazione. “Credo il teatro sarebbe impossibile da raccontare altrimenti, perché più del cinema è fatto di persone e relazioni tra loro, è magico. L’unico modo per raccontarlo in maniera autentica è portare lo spettatore quasi sul palco, senza filtri intermedi, senza che sia stucchevole e impoverito dalla ripresa cinematografica”, ha continuato Pacifico.
L’ideale sipario del documentario di apre a Parigi, dopo che una camera a mano sta addosso, e spia Servillo e i suoi giovani compagni di scena, tra ingresso artisti, prove individuali sussurrate a mezza bocca e la palpabile tensione prima dell’uscita sul palco, seppur non sia “la prima”. Poi, con uno stacco, ci troviamo sul proscenio ascoltando un estratto in cui Toni Servillo sta recitando, ma al tempo stesso la battuta potrebbe essere tranquillamente una riflessione sul teatro, in un “gioco” di dentro/fuori dal palco, in una sorta di meta lezione sull’arte della recitazione: “Recitare è l’arte di smuovere la propria sensibilità, smoverla”, parola, quest’ultima, che non tarda ad accompagnare con un movimento ondulatorio della mano che possa amplificare il concetto. E poi è subito flashback: così il teatro si ibrida immediatamente con il cinema, e si torna a sette mesi prima a Venezia (l’estate 2017), quando il viaggio era cominciato e quando per noi spettatori comincia davvero “la lezione”. Venezia, la città del cinema, in cui Servillo e i suoi attori approcciano “il testo per la prima volta. Oggi è il primo giorno in cui noi ci riuniamo intorno al testo”, ancora un altro passaggio in cui la contaminazione teorica e pratica tra le due arti si fa concreta. Come nelle sequenze in cui Toni Servillo viene intervistato e una camera guarda la situazione dichiarando apertamente il set, le altre camere, i cavi, gli stativi, il giornalista stesso difronte all’attore. Il tutto sconfina anche nella danza, in qualche modo, quasi nella dimensione del fan: al debutto milanese infatti possiamo vedere una Carla Fracci che va in camerino da Servillo, e lei, stella internazionale, gli domanda timida e eccitata di fare una fotografia con lui, perché: “è stata una grande, grande lezione”, ci tiene a confessargli l’etoile.
7 sono stati i giorni di lavorazione a Venezia, con decine di ore di ripresa: sono seguiti un’altra dozzina i giorni passati nelle altre città ma “molto lunga è stata la fase di montaggio, avendo accumulato centinaia di ore, perché si trattava di un lavoro sui contenuti narrativi. Il film l’ho costruito soprattutto al montaggio”, ha detto Pacifico.
“Abbiamo interpretato questa esperienza nella speranza di dimostrare non il lavoro del teatro, ma il teatro al lavoro”, questa la chiosa di Toni Servillo a questo film, che dà il titolo al corto che “nelle Giornate degli Autori trova la destinazione più giusta: anche se Servillo è un attore popolare e amato, questo resta un film sul teatro, per cui è interessato al mestiere dell’attore”, ha precisato il regista.
Il film è distribuito da Kio Film di Valentina Del Buono e il progetto seguirà una distribuzione autunnale “parallela” a quella della tournée dello spettacolo di Toni Servillo, affinché si possano provare vie distributive diversificate e contemporanee, tra cui quella con Agiscuola.
Anec, Anem, Fice e Acec ribadiscono l’urgenza di stabilire, senza preclusioni, procedure di consultazione all’interno di tutta la filiera industriale e con Anica, APT, MiBAC e Regioni
Il regista di Perfetti Sconosciuti, giurato a Venezia 75, rilascia un'intervista a 'La Repubblica', specificando che "il film vincitore passerà anche al cinema", in merito alla protesta delle associazioni di categoria circa l'assegnazione del Leone d'oro a Roma di Cuaron, prodotto da Netflix
Terzo anno per il delegato generale della Settimana Internazionale della Critica, Giona A. Nazzaro, a cui abbiamo chiesto un bilancio di questa edizione. Tra protagonismo femminile sommerso e media poco attenti al cinema non mainstream. "Sic@Sic dà delle possibilità a giovani autori in tempo reale e spesso sono donne"
Definendo il film del messicano Alfonso Cuaron, vincitore del Leone d'oro, "molto bello", il quotidiano francese ricorda che un tale riconoscimento "farà storia"