Storaro, “doppia-impressione” e pittura: 50 opere in mostra

Storaro, “doppia-impressione” e pittura: 50 opere in mostra nella Capitale


C’è una forma di dialogo nell’universo della luce, e Vittorio Storaro, direttore della fotografia, già insignito di tre Premi Oscar (Apocalypse Now – F. Coppola, Reds – W. Beatty, L’ultimo Imperatore – B. Bertolucci), ne è maestro: una mostraVittorio Storaro. Scrivere con la luce – cura e allestimento di Giovanni e Francesca Storaro -, ospitata a Palazzo Merulana a Roma fino al 1 novembre, tra gli eventi della Festa del Cinema

Si ammirano opere fotografiche realizzate con la suggestiva tecnica della “doppia impressione” – più di un’immagine sovrapposta l’una all’altra – tratte dai lavori più celebri del maestro, in un ulteriore gioco di confronto con riproduzioni di opere d’arte, che sono state per lui fonte d’ispirazione. 

Un allestimento essenziale, in cui sono le 50 cine-fotografie originali a essere protagoniste assolute, nel complesso dei 70 “cavalletti luminosi”, di cui 20 copie su tela dei dipinti che hanno ispirato la sua attività di indagine e studio creativo nel rapporto tra cinematografia e altre arti. Così, all’ingresso del percorso, il visitatore viene accolto da “La Luce”, – con “I Colori” e “Gli Elementi” sono le tre macro sezioni dell’allestimento: accanto al pannello che esplicita il concetto della separazione dalla tenebra, la riproduzione de L’annunciazione di Leonardo, da cui si apre poi l’accostamento di una “doppia impressione” da Giovinezza, Giovinezza (F.Rossi, 1969) con la Vocazione di San Matteo di Caravaggio – la folgorazione che influenza l’intera carriera creativa di Storaro; e ancora, quella de Il conformista (B.Bertolucci, 1970) con La memoria di Magritte, e così via. 

Vittorio Storaro: Scrivere con la luce è una mostra foto-cinematografica ideata e voluta con l’intento di raccontare – usando il linguaggio della fotografia – una storia in movimento, che s’incontra con le opere permanenti della “Collezione Cerasi” di Palazzo Merulana, un dialogo inedito per la Collezione, che già in passato ha stabilito relazioni artistiche con differenti epoche e forme espressive, ma che, con Storaro e la sua luce fotografica, si rinnova un’ennesima volta, grazie alla commistione tra i film che hanno definito la Storia del cinema del Novecento e le immagini pittoriche invece trasversali al tempo. 

Si procede così verso il terzo piano: ad accogliere c’è l’Orlando furioso, La battaglia di San Romano di Paolo Uccello, e poi Ultimo tango a Parigi (B.Bertolucci, 1972) che “dialoga” con il dirimpettaio Francis Bacon e il suo Trittico di marzo, opere tutte – quelle di questa galleria del Palazzo – inondate della tonalità arancio, fino all’ultima immagine, quella de “La liberazione” da Novecento (B.Bertolucci, 1976), che “parla a quattr’occhi” con la Formazione di una cooperativa di Gino Covili. Poi, nella saletta a seguire, accentra tutto L’incantatrice di serpenti di Henri Rousseau, abbracciata dalle “doppia-impressione” di Apocalypse Now (F.Coppola, 1979). 

Il IV e ultimo piano è riservato dapprima a “I Colori”, tra cui emerge l’affiancamento tra La luna (B.Bertolucci, 1979) e Il flauto magico di Karl Schnkel; e infine si giunge a “Gli Elementi”, in cui le “doppia-impressione” de Il tè nel deserto (B.Bertolucci, 1990) s’appaiano a Le storie del Buddha di Anonimo Nepalese, fino ad osare, in una lettura da Pop Art, con i fermi immagine de Il piccolo Buddha (B.Bertolucci, 1993), innestati di dettagli oculari estrapolati da dipinti orientali. 

L’arte di Vittorio Storaro ha radici antiche, nella Grecia da cui phos – luce e graphé – grafia, dunque “Scrivere con la Luce”, cardine della poetica sottesa al lavoro del maestro e qui soggetto della mostra: “Quando sono arrivato ad un momento di crescita, ho visto come era possibile esprimermi in fotografia con un senso cinematografico, ovvero unendo più di un’immagine – spiega il dop – in quanto la fotografia è espressione in una singola immagine, come la pittura; la cinematografia è invece un’espressione in immagini multiple. Questa, quindi, non è solo una mostra fotografica ma in realtà un’esposizione di varie forme di arte: la scrittura, perché tutto parte da una storia; la fotografia pura; la cinematografia”. Storaro trova armonia e prossimità tra il dinamismo cinematografico e la fissità fotografica, che lui riesce a far incontrare pesando tecnica e narrazione visive. 

Dal 21 al 23 ottobre la mostra diviene cornice del ciclo “Duel”, appuntamenti della Festa del Cinema di Roma, in cui due personalità del mondo artistico, della cultura e dello spettacolo si “sfidano” davanti al pubblico, confrontando opinioni divergenti sulle tematiche. 

15 Ottobre 2020

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