Saviano a Giffoni: “Oggi è il crimine che guarda al cinema”

Lo scrittore ha incontrato i ragazzi di Giffoni rispondendo alle loro domande sulla sua vita privata e sugli intrecci tra mafia e film


“Conoscere è già un modo per difendersi dai poteri occulti”. Oppure: “Il coraggio è qualcosa che coltivi”, “Io vedo il mondo come un’enorme scacchiera criminale”. E ancora: “Trovare la forma narrativa – questa è la mia ossessione – per dire a chiunque: questo ti riguarda”. Sono insomma tante le cose che l’autore del fortunatissimo Gomorra, Roberto Saviano, rispondendo esclusivamente ai giurati del festival di Giffoni, ha detto. Chi conosce bene lo scrittore d’inchiesta, noto anche per la sua condizione di uomo perennemente sotto scorta, può benissimo immaginare perché riesca sempre a stabilire una comunicazione specialmente con i giovani, che lo considerano un eroe, un modello, un punto di riferimento. Non è un caso che il festival gli abbia riservato un’accoglienza pari a quella delle star hollywoodiane, e conferitogli il premio intitolato al mentore François Truffaut.
Per lo più la curiosità dei Giffoni boys si è appuntata sul Saviano privato, cioè “privato” di una vita normale, almeno da quando aveva 26 anni (oggi ne ha 34). Ma c’è stato anche molto spazio per parlare direttamente di cinema. E Saviano ha una sua precisa idea sui film e i telefilm che affrontano i temi mafia e di camorra: “Per me non esistono film che aiutano la mafia, ma solo buoni film e brutti film. Ad esempio Il padrino è un capolavoro, ciò non toglie che presenta il protagonista, Michael Corleone, come un personaggio esemplare. Ma non è una responsabilità dell’arte rendere o meno la figura di un boss affascinante. Anche questo tipo di fascino va raccontato. L’obiettivo che mi sono anch’io posto come co-sceneggiatore del film Gomorra di Matteo Garrone è stato quello di rendere la criminalità non unidimensionale. Lo stesso discorso vale per il fascino che esercita Scarface di Brian De Palma, oppure la serie dei Soprano, o ancora il grandissimo Il camorrista di Giuseppe Tornatore, un film di denuncia ma non necessariamente nella mia regione veniva percepito come tale. È il contesto in cui viene visto un film o una fiction che può creare fascinazione, non l’opera in sé. Il problema non è nell’opera d’arte ma nell’ambiente e nella personalità di chi osserva. Il metro di giudizio sui film sulla mafia è quello artistico. Mi è stato segnalato un film che circola su Youtube, una sorta di docu-fiction, che è palesemente dalla parte dell’Ndrangheta. Che però è davvero brutto. Per dirne una, Al Capone partecipò come consulente durante le riprese del primo Scarface di Howard Hawks, mentre oggi  non è più il cinema che guarda il crimine ma il crimine che guarda il cinema. Prima del romanzo di Mario Puzo e poi del film di Francis Ford Coppola non esisteva nel gergo mafioso la parola padrino, bensì quella di compare”.

27 Luglio 2013

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