Sara Serraiocco e Lou de Laâge: com’è difficile essere europei

Doppia intervista alle due promesse del cinema italiano e francese a Berlino per Shooting Star: "Lavorare all'estero? Magari, ma la lingua è un problema"


BERLINO – Doppio appuntamento con le Shooting Star, la tradizionale vetrina di talenti europei emergenti organizzata dalla European Film Promotion a Berlino ogni anno dal ’98. Occasione di incontro con casting director e produttori internazionali che, negli anni, ha tenuto a battesimo futuri divi come Stefano Accorsi e Riccardo Scamarcio, Maya Sansa e Jasmine Trinca. Quest’anno l’Italia è rappresentata da Sara Serraiocco, ma abbiamo intervistato anche la promessa francese, Lou de Laâge, da poco vista nel film di Piero Messina L’attesa, in concorso alla Mostra di Venezia nel 2015. Sara, pescarese, formazione al Centro Sperimentale dopo gli studi di danza, ha trovato subito la popolarità con il suo primo ruolo importante, quello di Rita, una ragazza cieca che si trova faccia a faccia con un giovane killer mafioso rifugiatosi proprio a casa sua: Salvo di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, ha vinto una serie di premi non da poco, tra cui il Grand Prix della Semaine de la critique, il Nastro d’argento e il Globo d’Oro. Era il 2013, subito dopo c’è stato il Francesco tv di Liliana Cavani, in cui era Chiara d’Assisi e Cloro di Lamberto Sanfelice, presentato qui a Berlino in Generation. “Dopo essere stata a Berlino l’anno scorso – ci dice Sara – non mi aspettavo che mi scegliessero come Shooting Star, quando ho saputo che Luce Filmitalia mi aveva proposto sono stata veramente contenta. E’ un’opportunità per incontrare addetti ai lavori di tutte le parti del mondo”. La giovane attrice, classe 1990, è consapevole che una carriera internazionale non è facile: “Il nostro grande limite è la lingua. Gli spagnoli possono interpretare tipi latini in America, lavorare in Sudamerica, noi italiani abbiamo più difficoltà… Forse dopo questa esperienza potrei pensare più seriamente a misurarmi con le altre lingue, l’inglese e il francese”. Tra i suoi nuovi film La ragazza del mondo, opera prima di Marco Danieli. “E’ un progetto che portiamo avanti da tre anni, quasi quattro, da quando sono entrata al Centro Sperimentale. Avevamo fatto un teaser presentato al MiBACT, e abbiamo preso i finanziamenti”. La storia è quella di una ragazza che fa parte di un contesto religioso che lei definisce “molto restrittivo”, è una Testimone di Geova. “Vive in questa bolla da quando è piccola, poi incontra un ragazzo, interpretato da Michele Riondino, che le fa cambiare la visione della vita. E’ un romanzo di formazione e ho dovuto fare un grande lavoro sul personaggio. E’ un tema molto delicato, abbiamo avuto problemi. Non è un film di denuncia sociale – ci tiene a precisare – ed è una storia molto romanzata, ma se farà discutere ben venga”. L’altro progetto a cui ha lavorato è L’accabadora di Enrico Pau, girato a Cagliari per cui ha dovuto imparare il dialetto sardo. “Interpreto la nipote di Donatella Finocchiaro, sono l’erede che dovrà prendere il suo posto nell’aiutare le persone a morire tramite l’eutanasia diciamo old school… Però decido di scappare via di casa perché non voglio fare la vita di mia zia e inizio a lavorare in un bordello. Siamo durante la seconda guerra mondiale”. Ancora da girare invece, e dalla trama segreta, Non è un paese per giovani di Giovanni Veronesi. “E’ stato un incontro veramente bello che mi sta dando la possibilità di fare un ruolo bellissimo”. Nel cast anche Filippo Scicchitano e Giovanni Anzaldo. Lei non vuole dire di più. “S’intitola come la trasmissione che conduco su Rai Radio 2, parafrasando i Coen”, ha spiegato invece il regista. Prodotto dalla Paco Cinematografica nasce dalla constatazione di quanto sia difficile oggi in Italia avere vent’anni. “Grazie alla radio ho toccato da vicino l’esodo lento e inesorabile dall’Italia: 100mila ragazzi all’anno. Salteremo una generazione. E non è solo una questione economica. Un diciottenne che è andato in Argentina mi ha spiegato: non vado dietro a uno stipendio ma per seguire la speranza di un futuro. Il film – conclude Veronesi – sarà la storia di formazione di due ragazzi che se ne vanno a Cuba, la nuova frontiera”.

Lou de Laâge, anche lei venticinque anni, due volte candidata al César per Jappeloup di Christian Duguay e Breathe di Mélanie Laurent, è conosciuta anche in Italia grazie al film di Pietro Messina, in cui recitava accanto a Juliette BinocheL’attesa è una storia misteriosa dalle atmosfere sospese e inquietanti, due donne che non si sono mai incontrate, la scomparsa di un uomo, figlio dell’una e amore dell’altra. Le chiediamo di raccontarci quell’esperienza. “E’ iniziata in modo strano: Piero non parla francese, io non parlo italiano, entrambi conosciamo male l’inglese, così all’inizio non potevamo comunicare. Ma sono rimasta due ore con lui, iniziando subito a lavorare, è stato così interessante che non mi importava più essere presa per il ruolo. Invece mi ha chiamata e mi ha subito catapultato dentro al film. Non sapevo nulla e quando ho chiesto: chi è questa ragazza? Lui mi ha risposto semplicemente ‘sei tu’. Mi ha chiesto un’apertura totale, ha voluto che fossi fragile, mi ha messo dentro la stessa situazione del personaggio che non sa assolutamente cosa stia capitando”. All’inizio, ci racconta, aveva un po’ paura di lavorare con Juliette Binoche, “ma mi sono subito rilassata con lei, è stata così semplice, è una grande attrice e una grande donna”. Lou ci dice che le piacerebbe tornare a lavorare in Italia, ma come Sara pensa che ci sia un limite linguistico forte: “Potrei interpretare solo un ruolo di qualcuno che parla male l’italiano oppure di nuovo un personaggio francese”. E non si sente un’attrice europea, anche se non manca la voglia di misurarsi all’estero. “Mi fa piacere vedere che ci sono tante coproduzioni, abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri, l’Europa, almeno nel cinema, è una forma di solidarietà”. In questo momento è impegnata a teatro a Parigi con una versione scenica dei racconti di Michel Ocelot, ed è protagonista della coproduzione franco-polacca Agnus Dei di Anne Fontaine, in uscita in Francia dopo l’anteprima al Sundance. “Sono una giovane dottoressa della Croce Rossa, durante la seconda guerra mondiale, che cura delle suore rimaste incinte dopo aver subito una violenza”. In futuro le piacerebbe lavorare con Maiwenn, Emmanuelle Bercot. Tutte donne? “Non necessariamente, anche perché non credo che sia diverso lavorare con delle donne. Ogni autore ha un immaginario diverso”. Cosa sa del cinema italiano contemporaneo? “Poco. Conosco Sorrentino… Magari vedo dei film italiani ma non ricordo il nome dei registi. Però i miei genitori mi facevano vedere i film di Fellini e Antonioni, era un cinema molto poetico”. 

15 Febbraio 2016

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