TORINO – È notte, un telefono squilla nel buio della quarantena: Pietro (Claudio Santamaria) chiama Irene (Barbara Ronchi), erano fidanzati, ora non più. Il silenzio perdura da mesi tra loro: lei dapprima è incerta dinnanzi a quella telefonata inattesa, ma infine risponde.
Il regista, Manfredi Lucibello, spiega che il film nasce da “un’idea di Carlo Macchitella, che purtroppo ci ha lasciati: è stato produttore di tutti i miei film. Lui mi propose di fare un film dal romanzo di Alessandra Montrucchio, cercando una chiave cinematografica, e io sono stato folgorato dalla telefonata iniziale. L’abbiamo scritto durante la pandemia, che ci ha influenzati, come la solitudine da cui eravamo circondati. È un’idea di cinema che mi piace molto, quello essenziale: non abbiamo mai pensato a una sfida complessa e ci emoziona l’idea di fare un film in tempo reale. Il limite era il tempo e il limite permette più creatività”.
Nella storia, la concitazione, la confusione regnano ansiogene nelle parole di lui, ma nonostante questa nebbia convulsa lei intuisce la disperazione: cosa fare? Restare nel dubbio o affrontare l’ignoto, se non il peggio? Irene sceglie di non sottrarsi e così, da sola, nell’oscurità spettrale, si mette in macchina per raggiungere Pietro, prima che possa essere troppo tardi, e lo fa senza mai riattaccare, senza mai spezzare quel filo sottile, flebile fiammella di speranza, che li tiene in contatto, vitale.
Barbara Ronchi ammette “ero terrorizzata all’inizio, la sensazione è di vedere un’attrice sola per più di 90 min ma in realtà non mi sono mai sentita tanto in compagnia: era una troupe che è stata il mio pubblico, ricevevo il feedback subito. Mi sono chiusa in teatro per due settimane perché avevo bisogno di fare il film come un lungo monologo per arrivare poi sul set con più consapevolezza, sviscerandolo prima. Un monologo è tale se parli da sola e questo non lo è, perché c’era la voce di Claudio, che ha fatto un lavoro incredibile, perché io ero in scena e lui no. Era la notte di una donna che fino a quel momento sopravviveva, mentre lì qualcosa si risveglia dentro di lei e comincia a vivere. Rivedermi è sempre un trauma perché vorresti vedere una persona che non sei tu e quindi hai paura che qualcuno veda i tuoi segreti: è un gioco molto intimo quello che facciamo noi attori, e quando un film ti mette di fronte a parti di te un po’ nude mi imbarazza, spero gli spettatori vedano tanta Irene, perché io vedo tanta Barbara”.
E sulla prova di Santamaria, quasi completamente affidata a un’interpretazione della voce, che però non è un doppiaggio, l’attrice dice che “lui con la sua voce ricrea i luoghi, sembra che stia vivendo degli spazi, è il lavoro di un grande attore, una prova incredibile: ha ascoltato l’altro, cioè me che prima ero stata in scena, e ha reagito con la sua prova”.
Partendo proprio dalla prova in “sola” voce, Claudio Santamaria racconta: “ero felice di non avere gli impegni del set, perché così non ti importa di come apparire, questo può essere rilassante. Il film è stato girato e, dopo l’ultima scena con Barbara, abbiamo scattato delle foto della loro vita insieme, finché poi ci siamo chiusi in una sala per dare la voce al personaggio, che in qualche modo ho messo in scena, non stando fisso in piedi davanti a un leggio; sembra una semplice lettura mentre abbiamo scardinato, perché non avendo la presenza fisica la sofferenza doveva bucare l’etere. Il fatto di avere dei limiti mi esalta, mi eccita”.
Il personaggio di Santamaria è quello di un uomo che si fa salvare da una donna, questione su cui l’attore riflette: “lo spaccato di queste due vite era nella fragilità del lockdown: è simbolico del fatto che l’uomo abbia bisogno della donna per essere salvato e comprenderlo in questo momento storico è fondamentale. La comprensione e la creatività femminile è preziosissima”.
Il thriller è la firma di genere di Manfredi Lucibello, al terzo film (dopo Tutte le mie notti e Bice Lazzari – Il ritmo e l’ossessione): Non riattaccare è l’unico film italiano in Concorso al TFF 2023, prodotto da Pier Giorgio Bellocchio e Manetti bros., con le musiche originali di Motta.
Per Bellocchio “non è stato facile fare un film con un budget piccolo che ha richiesto a tutti un grande sforzo; il film che siano riusciti a realizzare è stato per l’adesione assoluta di Barbara, a disposizione di un film con pochi mezzi; era un film che si doveva poggiare su due talenti d’attore assoluti, così è successo. Il film, poi, è un viaggio reale da Monteverde a Santa Marinella. Era un film rischioso, che proponeva una situazione che richiedeva una grande energia per tirar fuori grandi emozioni, e credo coinvolga in tal senso”. Mentre i fratelli Manetti si dicono “orgogliosi di Manfredi, è il nostro secondo film con lui: siamo contenti della sua crescita continua, assorbe ogni giorno qualcosa. Pensiero estetico e dramma sono tutti suoi, ma senza due grandi interpreti il film sarebbe crollato”.
Il film uscirà prossimamente al cinema.
Dopo il fortunato esordio con Tutte le mie notti, Manfredi Lucibello porta in concorso al 41° TFF, Non riattaccare, thriller storia d’amore ambientato durante la pandemia con Barbara Ronchi nel ruolo di Irene, una donna in corsa contro il tempo per salvare il suo ex, Pietro (Claudio Santamaria) da un possibile atto disperato.
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