BERLINO – Dahomei di Mati Diop vince l’Orso d’oro della 74ma Berlinale. Il documentario della cineasta francese di origine senagalese, tra i favoriti fin da subito, ha colpito certamente Lupita Nyong’o per la sua qualità politica e la sfida aperta e dichiarata al colonialismo. La giuria, come ha rivelato l’attrice messicano-keniota, ha vissuto discussioni animate, “ma nel rispetto delle opinioni di tutti e arrivando una decisione unanime che ha tenuto conto dell’integrità artistica e della rilevanza dei progetti”.
Mati Diop, 41 anni, madre francese e padre senegalese (il musicista Wasis Diop), nipote del regista Djibril Diop Mambéty, ha esordito nel 2008, recitando nel film di Claire Denis 35 Rhums. Nel 2019 trasforma uno dei suoi cortometraggi nel lungo Atlantiques, la sua opera prima che vince il Grand Prix della Giuria al Festival di Cannes e viene distribuito da Netflix, oltre che candidato all’Oscar nella cinquina del miglior film internazionale. “Berlino è il posto giusto e questo è il momento giusto per difendere Dahomei, un film che rappresenta una comunità visibile e invisibile, che rompe il muro del silenzio e della negazione. Ognuno di noi può fare la sua parte e contribuire ad abbatterlo e riabilitare chi ha vissuto il colonialismo. Bisogna scegliere e io ho scelto di rifiutare l’amnesia come metodo. Sono solidale con il popolo del Senegal e sono solidale con la Palestina. Dedico questo premio a chi ha contribuito ad aprire la strada”.
“Cease fire now” è stato lo slogan della premiazione. È risuonato nelle parole della giurata italiana Jasmine Trinca e campeggiava sui grandi adesivi che due giurate del Premio GWFF per l’opera prima (la regista, sceneggiatrice e produttrice americana Eliza Hittman e la produttrice danese Katrin Pors) hanno esibito sia sul tappeto rosso che sul palco del Berlinale Palast. Anche la francese Verena Paradel, membro della giuria dei documentari, ha lanciato il “Cease Fire Now” premiando il documentario palestinese No Other Land, realizzato da un collettivo di registi israeliani e palestinesi che hanno lavorato insieme per raccontare la distruzione con i bulldozer di un villaggio palestinese. Uno degli autori, l’israeliano Hamdam Ballal ha dichiarato, rivolgendosi al coregista palestinese Basel Adra: “Abbiamo la stessa età e lavoriamo insieme, ma mentre io sono sotto la legge civile, lui è soggetto alla legge militare. Questo non è giusto. L’unica risposta è alzarsi in piedi e prendere la parola. Ai politici presenti in questa sala (tra cui la ministra tedesca della Cultura Claudia Roth, ndr) chiedo di impegnarsi per porre fine all’occupazione”.
È toccato alla giurata Oksana Zabuzhko, scrittrice ucraina, ricordare il conflitto che sta insanguinando l’Europa. “Nel secondo anniversario dell’invasione dell’Ucraina, che ha dato inizio a una guerra di sterminio, abbiamo voluto premiare un film come Sterben che mostra le conseguenze dell’assenza di amore e di empatia”.
Emily Watson, premiata per il suo intenso ruolo di non protagonista, ha ricordato le migliaia di giovani donne la cui vita è stata devastata in Irlanda con la complicità della Chiesa cattolica, tema affrontato nel film Small Things Like These di Tim Mielants, che ha aperto il festival.
In generale, la giuria ha privilegiato il cinema più radicale e rigoroso, con punte estreme, come Pepe, di cui è protagonista un ippopotamo portato in Colombia dal narcotrafficante Pablo Escobar e poi liberato e sopravvissuto nella foresta. Mentre il premio della giuria a L’Empire di Bruno Dumont (nella foto), una sorta di parodia di Guerre stellari, segnala uno dei talenti più visionari e anarchici del cinema francese e mondiale (sul palco il cineasta ha letto due volte lo stesso messaggio, attribuendo le sue parole all’orso). Tra l’altro il film è una coproduzione italiana che coinvolge Fabrizio Mosca, Andrea Paris e Matteo Rovere. Ed è purtroppo l’unico riconoscimento per l’Italia in un anno che ha visto il nostro cinema protagonista allo European Film Market come Country in Focus.
Gran premio della giuria a A Traveler’s Needs di Hong Sangsoo con la diva francese Isabelle Huppert, peculiare ritratto femminile di viaggiatrice bizzarra. Da notare che il regista coreano era stato già premiato a Berlino nel 2022 per The Novelist e nel 2020 per The Woman Who Run. Miglior attore protagonista è il rumeno Sebastian Stan con la sua prova istrionica (mascherato e non) in A Different Man di Aaron Schinberg. Premio alla fotografia dell’inquietante The Devil’s Bath della coppia di autori austriaci amanti dell’horror Veronika Franz e Severin Fiala. A firmarla è Martin Gschlacht.
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