Philomena, Francesco e la via del perdono

L'ispiratrice del film di Stephen Frears che ha incantato Venezia, ha incontrato il Santo Padre


Il film Philomena di Stephen Frears – tratto dal libro-inchiesta di Martin Sixsmith ‘The lost child of Philomena Lee’ – ha commosso prima Venezia e poi le platee di tutto il mondo con la vera storia di una ragazza madre irlandese rinchiusa in un convento e privata del suo bambino in maniera forzata, e della sua ricerca del figlio perduto. Un film potente e caratterizzato da opposte polarità: da un lato la critica forte agli atti deprecabili compiuti della Chiesa – con il supporto del Governo Irlandese, elemento che non va dimenticato – dall’altro la predisposizione di Philomena, credente, alla riconciliazione e al perdono. Ieri, la vera Philomena (nel film interpretata da un’intensa Judi Dench) ha incontrato Papa Francesco.

Sua Santità non si è espresso sul film, che non ha visto – o almeno, non come atto pubblico, lasciando il compito di visionarlo a persone fidate come il suo segretario Guillermo Javier Karcher e  Marcelo Sanchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze  – ma il racconto della signora Lee lascia trasparire forti segni d’apertura e disponibilità da parte della Chiesa: “Sono onorata e felice di averlo  incontrato – racconta Philomena – Come si evince chiaramente dal film, ho sempre avuto una profonda fede nella Chiesa e nella sua volontà di riparare ai torti commessi in passato. Spero e credo che Sua Santità Papa Francesco si unirà a me in questa lotta per aiutare le migliaia di madri e figli che desiderano mettere la parola fine alla loro tormentata storia”. Già, perché la signora Lee, che nonostante tutti gli sforzi fatti non è riuscita a riabbracciare suo figlio, morto di A.I.D.S. prima di poterla reincontrare, combatte una battaglia per aiutare le altre donne che hanno avuto la sua stessa traumatica esperienza e i loro rispettivi figli che si mettono alla ricerca delle proprie origini, e rappresenta oggi il Philomena Project,  iniziativa lanciata il 24 gennaio 2014 in Irlanda assieme sua figlia, Jane Libberton. All’udienza di ieri e alla conferenza stampa di oggi hanno partecipato anche Steve Coogan, sceneggiatore, produttore e protagonista del film recentemente candidato a 4 premi Oscar, e Susan Lohan dell’Adoption Rights Alliance, che affianca il progetto nella battaglia. “Grazie al film ora abbiamo il supporto necessario – racconta Libberton – la gente ci ferma per strada, raccogliamo fondi. Mia madre mi ha rivelato il suo segreto soltanto dieci anni fa e la mia prima reazione è stata quella di tristezza, per lei e per ciò che aveva vissuto. Ma poi sono stata felice di sapere che avevo un fratello, da qualche parte. Ci siamo imbarcate nel viaggio e poi purtroppo le cose non sono andate come speravamo, ma è stata un’avventura incredibile, dal momento in cui lei mi dice questa cosa, è arrivato il libro, poi il film, siamo state a Hollywood e poi a Roma. E’ il viaggio del perdono e della speranza”.

Coogan racconta e commenta invece le reazioni alla proiezione del film da parte delle autorità ecclesiastiche che hanno assistito: “Hanno apprezzato e riso nei momenti divertenti. Ne abbiamo parlato a lungo, dopo il film, e loro hanno convenuto che il film è in linea con il nuovo messaggio di Papa Francesco: da un lato la volontà di riconoscere gli errori del passato, e dall’altro quello di incoraggiare il perdono. Il film gli è piaciuto e considero questo passo molto coraggioso e rispettabile da parte loro, come frattura rispetto al passato oscurantista in cui si tendeva a nascondere questo genere di problematiche nate in seno alla Chiesa e a ostacolare chi voleva conoscere la verità. Da quest’esperienza, e in generale dal film,  ho imparato molto. Bisogna sempre lasciare spazio per il dubbio nel proprio cuore, gli assolutismi morali sono pericolosi. Non sono cattolico ma rispetto la visione altrui, conosco molti cattolici e condividiamo parecchi valori, e ieri il Vaticano ha dimostrato umiltà e ci ha dato segno di fiducia. Prima della proiezione abbiamo incontrato il Papa. Si è limitato a darci il benvenuto e a dirci che era contento di averci lì. Ma conosceva benissimo la storia di Philomena e ci ha ascoltati. Sono stato io a parlare spiegando che Philomena è un esempio, una donna normale che fa una cosa straordinaria: perdonare. Lui ha ascoltato tutto con attenzione e i suoi collaboratori hanno convenuto che il film è il linea con questa via di perdono e riconciliazione, e che non sono d’accordo con l’ala conservatrice della Chiesa americana che considera il film anti-cattolico. Gli errori vanno ammessi cosicché possano essere perdonati. Detto questo, da domani continuerò a lavorare come sceneggiatore e non diventerò attivista militante”.

“Il film riproduce esattamente la storia come l’ho raccontata all’autore del libro Martin e poi a Frears e a Steve – spiega Philomena riprendendo la parola – c’è qualche licenza come ad esempio il viaggio, che non ho fatto insieme a Martin ma in un altro momento. Ma il succo è quello soprattutto per quanto riguarda la parte del convento. Purtroppo ci costringevano ad abbandonare i nostri veri nomi per il periodo in cui eravamo lì. Io in quei tre anni mi chiamavo Marcella. Per questo purtroppo non posso rispondere con certezza a tutti quelli che mi chiedono se per caso ho conosciuto la loro madre. Inoltre ci facevano sentire colpevoli e dunque raccontavamo ben poco di noi, ci tenevamo tutto dentro. Ho fatto amicizia con una sola ragazza, ma poi ne ho perso le tracce e non so appunto come si chiamasse veramente. Ero solo una ragazza e non sapevo niente delle gerarchie della Chiesa, né di politica. Non mi chiedevo nemmeno quanto in alto arrivasse questa responsabilità. Non posso dire di avercela davvero avuta con la Chiesa, anche perché non avrei potuto sopportare di vivere nella rabbia per tutti questi anni. Mio figlio oggi ne avrebbe 62. Certo, uscita da lì ero triste e arrabbiata con tutti, ma poi negli anni ho imparato a fare i conti con il mio dolore. Ho fatto l’infermiera in un ospedale psichiatrico e ho conosciuto tanta altra sofferenza. Mi sono portata dietro il mio fardello per cinquant’anni, e soprattutto era il senso di colpa a farmi male. Ma ieri incontrare il Papa mi ha fatto sentire benissimo, proprio perché era ormai definitivamente chiaro che non avevo colpa di nulla”.

“Sono oltre sessantamila le donne coinvolte nel sistema delle adozioni forzate – chiude Susan Lohan – purtroppo per i motivi che abbiamo spiegato su sono come invisibili. Molte di loro emigrarono in Gran Bretagna e nessuno ne sentì più parlare, proprio per questo senso di colpa e vergogna che è stato loro ingenerato. Non raccontavano nulla di ciò che era successo. Il governo irlandese, che finanziava molte delle associazioni cattoliche che le prendevano in cura, ha perpetrato questo sistema. Vorremmo intanto che queste persone cominciassero a sentirsi libere dalla loro colpa, e a uscire allo scoperto. E’ un’operazione urgente, perché queste persone tra poco, per ragioni anagrafiche, non ci saranno più. La Chiesa ha dimostrato disponibilità e apertura, ora deve affrettarsi anche il Governo. Il diritto alla ricerca della propria identità rientra nella carta dei diritti umani. Si tratta di una violazione grave, che rientra parzialmente anche in un’ottica di scambio e smercio di esseri umani. Parte dei fascicoli con i nomi di queste donne sono in mano alle associazioni religiose. Buoni cinquantamila li possiede il governo. E’ ora che siano aperti”.

 Per informazioni e per sostenere il progetto: www.thephilomenaproject.org

06 Febbraio 2014

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