In programma questa sera sul grande schermo all’aperto del Roma Cinema Arena al Parco degli Acquedotti, introdotto in video dalla sua autrice, Persepolis rappresenta un inestimabile appuntamento con la storia di una giovane donna sulla cui vita furono impresse le tante ingiustizie della rivoluzione iraniana. È un cult come ce ne sono pochi, quello di Marjane Satrapi: perché è in animazione, e da sempre questa tecnica si scontra con i pregiudizi del pubblico, e perché è un’autobiografia che riesce nel difficilissimo compito di costruire un affresco sociale che risuoni universale pur passando sempre per gli occhi di un singolo individuo. Ma Persepolis si impose subito nell’immaginario collettivo. Un film immediato, che colpisce per la sua valenza politica, ma che non smette mai di approfondire gli aspetti più interiori della protagonista, che attraversa sofferenze e depressioni.
Persepolis infatti è anche un coming of age che alla classica struttura del giovane avviato alla vita adulta è costretto a integrare le sfide di una paese in conflitto. Quando serve essere crudi, Satrapi non si tira indieto: macchia lo schermo delle crudeltà che non può permettersi di censurare.
Tratto dall’omonima Graphic Novel pubblicata da Satrapi tra 2000 e 2003 – la fumettista è anche regista dell’adattamento -, Persepolis attraversa l’Iran degli anni ’70 inquadrando temi ancora di strettissima e triste attualità. Dell’ottobre scorso è infatti la protesta delle donne iraniane, che hanno manifestato nel paese tagliandosi i capelli pubblicamente e agitando le ciocche in protesta. Anche in quel momento Persepolis risuonò presenza importante, citato e riportato all’attualità dalle manifestanti e da chi, esterno, cerca ogni giorno strumenti per comprendere i fatti di un paese. Questo miracolo a cavallo tra racconto autobiografico e affresco sociale è una piccola cassetta degli attrezzi che affronta stravolgimenti e cambi di rotta di un paese che ha colpito e limitato la vita dei cittadini.
La tecnica 2d ripropone l’idea stilistica del fumetto, bucando le inquadrature con bianchi e neri dentro cui sembra di poter cadere assieme alla protagonista. Baratri profondi che raccontano lo sguardo della piccola Marjane sul mondo. Il bianco candido si contrappone al suo opposto in una tensione di vita e morte, la stessa che la protagonista si porta dentro e ritrova in ogni confronto con il mondo esterno.
In cerca di un futuro migliore, Marjane lascia l’Iran a 14 anni e scopre la sofferenza di una distanza a cui è costretta e che l’allontana dal luogo che vorrebbe davvero chiamare casa. La frammentazione interiore, esatta risposta delle difficili condizioni sociali sofferte, è tale che l’individuo perde l’appartenenza al mondo interiore.
Con Eye of the Tiger intonata a riscatto per sé e per la propria storia, Marjane trova la forza per essere una Rocky Balboa: pronta a rispondere ai ganci di un ring che da sempre mette a terra lei e gli amici con cui ha sognato una vita diversa. Stonando i versi della canzone, sfodera gli occhi della tigre e regala al pubblico l’ultima di tante lezioni da portare con sé.
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