Ha inizio lunedì 23 gennaio la settimana organizzata da Lucky Red per omaggiare Park Chan-wook in occasione della distribuzione del suo ultimo film, Decision to Leave (leggi l’articolo). Sette i titoli pronti a tornare in sala, riproposti al pubblico di Roma, Milano, Bologna, Firenze, Torino, Genova e Napoli fino al 2 febbraio. Tutte le informazioni relative alla Park Chan-WEEK sono disponibili sul sito di Lucky Red.
Ma chi è davvero Park Chan-wook e perché il suo è un cinema a cui affidarsi con curiosità? I sette titoli riproposti da Lucky Red formano un cammino eccezionale, da affrontare con stivali alti e la giusta audacia. Come i percorsi di montagna bagnati dalla pioggia, il suo cinema è insidioso, ma offre panorami di prodigiosa varietà.
Prima tappa, ‘Trilogia della vendetta’: Mr. Vendetta, Oldboy, Lady Vendetta. Stacco, passaggio alla commedia romantica. Si prosegue con I’m a Cyborg, but that’s ok. Qui è dove il percorso si fa più stretto e sembra perdersi. Con Thirst e Stoker – esordio in lingua inglese con Nicole Kidman – si torna al thriller (persino all’horror). Chiusura di stile con il dramma erotico The Handmaiden, prima di lasciarsi andare al nuovo e acclamato Decision to Leave.
A cogliere lo spettatore della Park Chan-WEEK sarà senz’altro la sorpresa. In questi film convive il rigore simmetrico di inquadrature studiate nel dettaglio con l’impetuosa baraonda di generi e narrazioni. È una cinefilia estroversa, ma mai elitaria, oscura solo quando lo pretende il tema.
Con la generazione di Park Chan-wook nasce infatti il blockbuster sudcoreano, raro ibrido tra mainstream e autorialità. Un cinema per tutti, eppure non disposto al compromesso. In Italia ce ne siamo accorti nell’autunno 2019, dominato dal Parasite di Bong Joon-ho, poi anche premio Oscar. Ma l’’hallyu’, o ‘Korean Wave’, ha le sue radici negli Anni ’90, quando un manipolo di universitari scopre il cinema internazionale.
Sono chiamati “figli senza padri”, perché privi di una tradizione da cui ereditare – e di cui dover rispettare – stili e temi. Sono figli del cinema, una vera prole delle VHS, da cui hanno appreso senza pregiudizi. Per questo, anche l’opera di Park Chan-wook è incontro di generi, riuniti in festa come a riprodurre all’infinito un’impossibile storia del cinema. “I miei film fanno un passo oltre i confini del cinema commerciale”, ha dichiarato il regista. Lo scarto è nelle inquietudini che muovono la generazione cresciuta mentre il Paese raggiungeva l’ambita democrazia.
Lo osserviamo nei primi film della rassegna. Alla ‘Trilogia della Vendetta’, Park Chan-wook ci arriva dopo l’incredibile successo di Joint Security Area, con cui nel 2000 domina i box office nazionali. Sono tre film importanti, dal tema comune ma tra loro diversi.
Mr. Vendetta non fu un successo. La prima mezz’ora divaga mentre vincono le suggestioni visive. Per lui, mostrare è importante quanto nascondere. Definisce il confine tra quanto lo spettatore sa e quanto può solo immaginare. Questo principio torna in una scena di The Handmaiden, quando un serpente a difesa di una stanza fa il guardiano dei “limiti della conoscenza”. Così, il regista. In Oldboy, che prosegue ‘la Trilogia della Vendetta’, le ellissi e i frame mancanti sono passaggi obbligati. Il disvelamento finale unisce i pezzi, rivelando un film che avevamo sotto gli occhi, ma non potevamo vedere.
In Oldboy troviamo una dimostrazione del legame che unisce gli aspetti fantasiosi di questi film e il contesto sociale vissuto dalla Korean Wave. Nel film un uomo viene imprigionato per quindici anni in una misteriosa stanza ammobiliata. Non sa perché, non sa per mano di chi; finché non viene liberato. Del mondo conosce ciò che ha potuto osservare da una piccola tv posta davanti al letto. La storia è andata avanti senza di lui. Guerre, terrorismi, crisi economiche: Oh Dae-su ha assistito inerme, da spettatore. Ora è libero e vuole vendetta. Allo stesso modo, dopo decenni di silenzio, la generazione di giovani filmaker e artisti non subiscono più lo schermo: lo creano.
La conclusione della trilogia ha una leadership femminile. Ancora una volta ci si muove da una condizione di ingiusta prigionia. Ancora una volta si vuole vendetta. Lady Vendetta ha un respiro più precisamente sociale, senza che le condizioni individuali della protagonista vengano dimenticate. Una donna, ricongiuntasi con la figlia dopo anni di reclusione, viene divorata da un desiderio di giustizia che assume echi femministi.
Il film successivo ha ancora una protagonista, ma vira con decisione sul genere e i toni. I’m a Cyborg, but that’s ok è una commedia ambientata in manicomio e mai prevedibile, anche se affidata a una storia allucinata ma più lineare delle precedenti. La complicità dei protagonisti crea un mondo alternativo, dove le radio parlano e la delicatezza trova posto nei luoghi più assurdi.
Il cinema di Park Chan-wook specchia il mondo e lo capovolge. I plot twist di alcuni film non sono accessorio narrativo, ma strumento di regia. Dal dettaglio di una nuca solleva la ripresa fino a svelare la scenografia. I carrelli e i dolly non avvicinano ma abbandonano, per vedere meglio e capire. Di Vertigo – Hithcock primo amore del regista – torna la sensazione di bruciare per storie pronte a tradirci. Il prete protagonista di Thirst, esperimento horror del 2009, si offre come cavia ma diventa vampiro e infine si innamora in un finale da cinema muto. I movimenti di macchina non danno tregua, ma il montaggio controlla la situazione fino a che, ancora, non salta un pezzo e il film ricomincia.
È evidente in The Handmaiden, che si divide in atti e riscrive di continuo se stesso. Gli elementi in scena cambiano valore sotto gli occhi dello spettatore. Come la rosa di Mr. Vendetta; lasciapassare, ma anche simbolo di lutto, oggetto d’amore, testimone di passaggio. La domestica protagonista di The Handmaiden, uscito nel 2016 e presentato al Festival di Cannes, trova oggetti che cambieranno di ruolo e significato. In quest’ultima opera, prima del recente Decision to Leave, Park Chan-wook sposta l’attenzione sul sesso, strumento inebriante che custodisce un potere trasformativo.
Il film ha avuto un successo tale che una sala del centro di Seoul è stata intitolata al regista. È un cinema che è segnato dal contesto, ma che non subisce, bensì inscrive nuove storie e vive di uno stato febbrile a noi ormai sconosciuto. I sette film riportati in sala sono la testimonianza di un’azione precisa, più artistica che sociale, inevitabilmente politica e compresa dallo spettatore. Il lavoro di Park Chan-wook si realizza con la complicità del pubblico, sfidato dallo stile, sorpreso dalle storie.
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