Paolo Virzì e la raccomandazione dei portuali di Livorno

Dopo essere stato protagonista a Venezia (e in sala) con Siccità, il regista è anche alla Festa del Cinema di Roma, dove tiene un incontro con il pubblico


Dopo essere stato protagonista a Venezia (e in sala) con Siccità, Paolo Virzì è anche alla Festa del Cinema di Roma, dove tiene un incontro con il pubblico. Per l’occasione, la Festa ripropone La bella vita, suo esordio del 1994, restaurato dalla società dello stesso Virzì insieme alla Cineteca di Bologna e presentato alla Casa del Cinema insieme a Claudio Bigagli e Massimo Ghini.

Modera l’incontro Enrico Magrelli, giornalista, critico e membro del comitato di selezione.

Virzì è mattatore, divertentissimo, intrattiene rispondendo ai messaggi del figlio che sta facendo i compiti e condividendo audio divertenti dal suo telefono.

“Il film lo girai nel ’92 ma ci voleva un bel po’. Usavamo ancora la moviola, quindi arrivò due anni dopo. Ma rispetto a Ferie d’agosto, già restaurato, La bella vita era introvabile, non c’erano più la produzione e la distribuzione, il titolare ha iniziato davvero a fare la bella vita a Porto Ercole. E infatti nemmeno si trova in DVD, c’era solo un collezionista che vendeva videocassette a prezzi spropositati, pare che la Ferilli ne abbia comprate una decina. Per fortuna è stato ritrovato l’internegativo, ora sembra appena uscito dalla Techincolor. La Cineteca è un’eccellenza in questo senso. Certo il termine “restauro” mi fa sentire vecchio, ma ora la copia c’è e ci sono anche tutte le fonti digitali che ora servono, è diventato nuovamente un film consultabile”.

Nella serie di incontri, chiamata “Absolute Beginners”, si rivedono appunto le opere prime dei grandi autori: “L’ho rivisto alla Augustus Color per fare la correction, ho fatto anche piccolissimi tagli, una bella possibilità. Non è una director’s cut, di solito in quelle occasioni si aggiunge, io invece ho tolto, c’erano cose che non mi soddisfacevano, ad esempio un paio di commenti musicali non proprio a tono”.

L’incontro si apre con la scena dell’operaio cassintegrato che si uccide: “Mi ha fatto piangere – dice Virzì -. non so se perché sono invecchiato io o ripenso alla gente con cui l’ho girato, che oggi non vedo più”.

Il titolo originale del film, ricorda Magrelli, era Dimenticare Piombino, un film perfettamente calato nel momento storico: “girato – ricorda Virzì – mentre era in corso un’aspra vertenza, cominciavano le casse integrazione in un processo che poi avrebbe portato alla chiusura delle fabbriche. Era un momento di crisi, arrivava un’altra epoca, dalla sicurezza del lavoro in fabbrica all’incertezza del futuro. Beccando un paio di profezie: l’arrivo dell’uso della televisione in politica. La Ferilli, giovane commessa, sposata a un operaio dell’altoforno, resta invaghita da un imbonitore televisivo che distrugge il matrimonio e la famiglia. Perdono tutti, perfino l’amante. Era il simbolo dell’arrivo di una nuova Italia. Gli operai delle acciaierie non erano più eroi”.

Nonostante la fatica e il logoramento: “Ci abbiamo girato due giorni e ci sono volute settimane per toglierci di dosso la fuligine, figuriamoci lavorarci ogni giorno per otto ore. Ma significava avere accesso ai diritti, a un’identità, all’idea di far parte di una storia di progresso, di emancipazione. Ma in quel momento quest’identità si perdeva, l’operaio non era più affascinante agli occhi della propria moglie, era un segnale. L’imbonitore si chiama Jerry Fumo e nel ’94 sarebbe sceso in campo tramite la tv un grande impresario, vincendo le elezioni e conquistando il cuore della gente, della povera gente, tra lo stupore generale”.

Curiosità sull’inizio carriera: “Non fui io a decidere di fare il regista. Io volevo scrivere e disegnare. Avevo una compagnia teatrale amatoriale e i testi li scrivevo io. Ci lavorava anche Francesco Bruni, che al tempo faceva l’attore. Fu Giuseppe De Santis, a Fondi, dove mi ero recato per ritirare un piccolo premio, a dirmi di fare il Centro Sperimentale, perché c’erano pochi sceneggiatori validi, secondo lui. Io pensavo a laurearmi in Storia, dovevo scrivere la tesi, ma lui fu così gentile che mi mandò a casa il bando di concorso con la domanda precompilata. Dovevo solo firmarla. Nemmeno sapevo cosa fosse il CSC. Ma una riga mi colpì: dicevano che se fossi stato preso avrei avuto l’obbligo di presenza ma avrei percepito 450mila lire al mese. Tanto ero convinto che non mi avrebbero preso. Avevo torto. Non ho ancora capito perché. Non ero poi così bravo. All’inizio mi prese in giro Montaldo, che era della commissione: diceva che mi avevano raccomandato i portuali di Livorno. Perché prima di partire per Roma, per sostenere gli esami, m’ero informato, e tutti mi avevano detto che ci volevano raccomandazioni. Figuriamoci, da Livorno, non conoscevo proprio nessuno. E mi confidai con quelli del circolo portuali che gestivano il cinema ‘Quattro Mori’, dove mi addormentavo sulle maratone Fassbinder.  Conoscevano Montaldo, che era un “compagno”, avevano recitato come comparse in Agnese va a morire. Lo contattarono davvero. Infatti Montaldo mi prese a braccetto e disse: “dì agli amici di Livorno di stare tranquilli”. Ha ancora la lettera scritta a penna, con il nome sbagliato: ‘Caro compagno Montalto…’. Era una raccomandazione così goffa che fece ridere tutta la commissione, e suscitò simpatia. Io pensai di aver fatto una figura di merda e mi arrabbiai moltissimo. Inoltre feci una caricatura di Leo Benvenuti. Dietro di me un signore mi prese la matita in mano e corresse il disegno. Non sapevo chi fosse. Era Furio Scarpelli. E questa cosa gli piacque tantissimo”.

Ma alla regia ci arriva quasi per caso: “Ero appagato come sceneggiatore, scrivevo quattro cinque copioni l’anno, guadagnavo bene, tanto la casa l’ho comprata solo quando mi sono sposato con un’attrice che guadagnava più di me. I soldi non mi servivano ma il cinema italiano stava cambiando. Molti registi morivano, si ammalavano o si stancavano. I produttori erano disperati, gli servivano nuovi registi e così nacque una generazione, grazie per esempio alla Sacher di Moretti, con cui esordirono Luchetti, Mazzacurati, Calopresti. Fellini ha girato l’ultimo film nell’estate del ’90 anche se faticava, girava pubblicità per Campari e Barilla. Antonioni c’era ma era stanco. Dino Risi era spiritoso ma incattivito. A un certo punto scrissi il soggetto de La bella vita per venderlo ad Angelo Rizzoli, con cui stavo lavorando. Facemmo degli incontri con un regista che era stato designato, all’epoca molto rilevante. Arrivò con delle note. Rizzoli mi fece restare. Congedò il regista e mi disse: “senta, ma lei che la racconta così bene questa storia, perché non la gira lei?”. Ci pensai, ma intanto mettevo su la squadra, chiamai un amico che faceva la fotografia. Dissi ‘va bene, magari non sono capace ma ci provo’. Rizzoli però ebbe guai con la finanza, mi restò letteralmente il copione in mano. Finii da un distributore a cui serviva investire dei soldi, e così andò. Non sapevo niente, non conoscevo i termini tecnici, mi pareva frutta esotica. Certo avevo la passione per l’immagine perché amavo i fumetti, ma la prima scena che ho diretto veramente come regista, facendo delle scelte, è stata quella che ho scelto per la clip”.

Divertente anche il ricordo di come ingaggiò la Ferilli: “Mi chiese un passaggio in motorino. Ancora ricordo la sensazione piacevole di morbidezza lungo la schiena, era bellissima, vera, parlava romano e mi diceva “io non sono presenzialista, non ci vado alle feste”. Mi avevano proposto Nancy Brilli, e ne ero onorato, ma alla fine pensai che Sabrina fosse più adatta. So che Nancy ci rimase molto male, le chiedo pubblicamente scusa”.

Si chiude con un commento sulla situazione politica: “Non mi preoccupa il politico singolo – dice Virzì – ma il voto di rabbia degli elettori, e il fatto che certe istanze, il rumore, vengano prima di problemi che dovrebbero accomunarci tutti come la salvezza del pianete. I virus e le catastrofi non si fermano alle frontiere”.

 

IL TRAILER DE “LA BELLA VITA”:

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