Per ‘Il punto di rugiada’, l’eco di Dino Risi

Storia delicata e intensa, tra vecchiaia, smemoratezza e consapevolezza: l’esperienza del servizio civile per un confronto con il tempo che trascorre, tra il desiderio di vivere e quello di mettere un punto alla vita. Con Massimo De Francovich, Eros Pagni, Elena Cotta, Valerio Binasco


TORINO – “Questo film c’entra molto con me e con il libro che ho scritto a proposito del rapporto con mio padre. Ha a che fare con i vecchi, con chi è vicino al ‘grande traguardo’ rispetto a chi invece la vita ce l’ha tutta davanti. Mi piace l’incontro fra questi due mondi che non sempre si sopportano. Sono felice che questo film venga presentato al TFF, Festival che amo anche per la sua serietà e la sua sobrietà”, dice Marco Risi del suo racconto cinematografico nella selezione Fuori Concorso, Il punto di rugiada.

Un titolo che nasce casualmente ma con una sua storia di vita vera, come racconta lo stesso Risi: “frequento un ristorante, Il padovano ma gestito da abruzzesi, e ci sono molti vecchi che mangiano lì da soli, tra cui uno che pensavo fosse un barbone, poi l’ho rivisto mesi dopo: aveva messo i denti, era dimagrito, senza più barba, era diventato quasi bello; Pierluigi, era anche un pianista, scopro – che dapprima avrebbe dovuto suonare il pianoforte nel film – e lui mi ha illuminato, quando ho saputo fosse anche un dilettante meteorologo, perché un giorno disse: ‘…oggi forse raggiunteremo il punto di rugiada’, l’incontro tra il caldo e il freddo. Questo fatto di due poli lontani, come il vecchio e il giovane, mi ha illuminato”.

Carlo (Alessandro Fella) è un figlio della ricca borghesia, ha molti vizi e poche regole, ed è proprio questa sua condotta che lo porterà a essere condannato a scontare un anno di lavori socialmente utili a seguito di un incidente d’auto, provocato per il suo stato d’ebrezza.

Lui, con Manuel (Roberto Gudese) – spacciatore colto sul fatto – sono assegnati a Villa Bianca, casa di riposo che ospita una gamma di sofisticati vecchietti, anzi “ospiti” come gli viene inculcato di chiamarli sin da subito, redarguendoli a prescindere di non pensarli e nominarli “vecchi”, come invece fanno usualmente con sfregio e arroganza.

L’idea – continua Risi – “nasce più di dieci anni fa, in un festival in cui mi si avvicina un maestro di scuola – anche scrittore – che aveva vissuto questa esperienza al posto del servizio militare: Enrico Galliani. Nel frattempo, sono maturate cose, come il libro con mio padre, e mi incuriosiva molto l’incontro tra generazioni lontane, che si guardano con occhi diffidenti. Alla fine, non mi abbandonava la cosa e ho buttato giù la scaletta… fino a presentarla a Domenico Procacci, a cui è piaciuta: non pensavo, perché parlare di vecchi è come parlare di ciechi, come era successo a mio padre per Profumo di donna”.

Nel film, quella che per Carlo e Manuel sembra dapprima una condanna noiosa, una galera tra pannoloni e intermittenze della memoria umana, si rivela un universo delicato e intenso, tra vecchiaia, smemoratezza e consapevolezza: l’esperienza del servizio sociale per un confronto con il tempo che trascorre, tra il desiderio di vivere e quello di mettere un punto alla propria vita, nel nome del libero arbitrio. Con loro, Luisa (Lucia Rossi), infermiera esperta, da tempo impiegata alla Villa, ma non completamente sganciata dal vissuto di Carlo, si scoprirà.

Marco Risi sceglie la metafora delle quattro stagioni della Natura per raccontare le due stagioni umane a confronto, gli incontri di Carlo e Manuel con Dino, famoso fotografo appassionato di documentari sui leoni (Massimo De Francovich), con il colonnello Pietro (Eros Pagni), il poeta Federico (Luigi Diberti), la grande attrice Antonella (Erica Blanc), tutte figure “grandi” del tempo che fu, adesso vecchi che fanno i conti con l’esistenza – ciascuno a proprio modo, secondo il proprio stato di salute fisica e mentale, nel nome del proprio intimo, leggiadro talvolta, quanto vessante. Risi affida a colonne della nostra recitazione – da quelle citate a Elena Cotta, Valerio Binasco, Maurizio Micheli, tra gli altri – di profilare l’età più fragile e al contempo più consapevole della vita, scegliendo anche momenti suggestivi come la cena di Natale e la notte di Capodanno come sequenze chiave per amplificare l’eco dell’emotività e della riflessione dei protagonisti.

Dino Rimoldi, il personaggio interpretato da De Francovich – un nome e un cognome che, fa notare poi Risi, hanno le stesse iniziali di suo padre – “aveva arredato la stanza di tutti ritagli di Dino Risi, e aveva la penna stilo con le sue iniziali, era quella del papà di Marco. Non è mai passato per la mente di rifare Dino Risi ma c’è un’eco che lui ha voluto io trasmettessi, è stato un arricchimento. È un personaggio un po’ cinico, ironico, molto scherzoso. Marco voleva facessi lo switch tra teatro e cinema, parola che non è mia, ma che mi ha colpito, mi piace”, spiega l’attore.

Con lui, un’altra Signora del teatro, Elena Cotta, 92 anni, che del cinema dice: “c’è una resa pratica importante che lascia tracce, mentre nel teatro – che adoro – non succede. Quando ho letto la sceneggiatura sono stata colpita da questa piccola donna con la valigia, sempre pronta a partire, a cui mi sono affezionata”.

Il regista, dei suoi interpreti più adulti, ammette: “avrei potuto abbassare l’età di una decina d’anni, invece sono stato sul vecchiume, quello bello”.

È centrale il rapporto privilegiato tra Dino e Carlo, l’uno maturo e pragmatico, a suo modo paternamente concreto, capace di raggiungere col giovane una confidenza assoluta, tanto da parlargli apertamente del suo desiderio di non essere sotto scacco del tempo dettato dalla natura delle cose, arrivando a parlargli di un kit per il suicidio assistito: “…voglio essere io a decidere!” afferma con decisione, perché “…il sacro dono della vita” a questo punto, per lui, sono “stronzate!”. Ma Carlo, che dall’alto della sua arroganza congenita è messo ora in discussione dal confronto con il realismo dell’esistenza, riesce a ribattere al suo vecchio amico, dicendo che dovrebbe tener conto di “…quello che puoi provocare agli altri”, cioè il dispiacere.

Alessandro Fella racconta il suo “Carlo, un ragazzo che arriva da una situazione non troppo comoda ed è chiamato a fare un lavoro socialmente utile nella bolla della casa di riposo, cosa che si rivela un po’ una sorpresa, per il cambiamento e l’empatia con Dino, che diventa un padre, una bussola, così che questa bolla sia il punto di inizio di una nuova vita. Ero contento ma anche spaventato quando ho superato il provino, per il calibro di attori con cui mi andavo a confrontare per il mio primo film, ma quando le macchine da presa si spegnevano il film della vita è continuato… con loro”.

E Risi, sulla scelta personale e libera del fine vita, interpellato sulla questione riflette che “il libero arbitrio secondo alcuni non esiste: ho frequentato uno psicanalista che lo sosteneva; comunque, dovessi improvvisamente rincoglionirmi o stare in una situazione non civile – l’ho detto anche ai miei figli: sopprimetemi”.

Risi, infine, fa un uso dichiarato, metaforico e sintomo del tempo passato, di un’età che è stata, di parecchia musica italiana, da E la chiamano estate di Bruno Martino a Riderà, passando per Stasera mi butto.

Il film è prodotto da Fandango con Rai Cinema.

Nicole Bianchi
27 Novembre 2023

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