PAOLO MARCELLINI, CARLO GIUDICE


Tafanos Tafanos è, ancor prima che un film, il cinema fatto con passione e divertimento, anche quando non ci sono le condizioni produttive basilari. E’ il pretesto per raccontare storie, giocando col pubblico a mescolare i generi: il risultato è un cocktail-movie dove la commedia si infrange contro una situation-horror
Loro sono in due come i fratelli Coen ma non sono neanche parenti. Anzi, uno vive a Roma e l’altro a Milano. Perfettamente interscambiabili dietro la macchina da presa come davanti all’intervistatore. Al secondo capitolo di una trilogia che è già un cult, incontriamo Paolo Marcellini, oppure Carlo Giudice…

Come nascono questa strana coppia e questo pseudonimo? E soprattutto, come lavorate a distanza?
Lui nasce come attore ed io come aiuto-regista, prima di trasformarci in questa coppia di insetti… siamo stati convogliati nella pubblicità, ma la nostra passione è da sempre un certo cinema: divertente, che affronta anche certe tematiche, ma sempre molto metaforizzate… lo pseudonimo è nato col primo Tafanos: i ditteri sono insetti a due ali, e per noi che facciamo tutto in coppia ci sembrava divertente…
A lavorare a distanza ci aiutano il telefono ed una certa intesa… facciamo delle chiacchierate in interurbana, poi ognuno scrive alcune scene, ce le scambiamo e vediamo di trarne una sintesi, trovare terze soluzioni, in una strana alchimia… Poi sul set dipende dal momento: chi dei due è meno stanco lavora con gli attori, l’altro controlla…

E’ venuta prima l’idea del film digitale low-budget o l’ideazione del soggetto della trilogia?
Volevamo uscire dal classico meccanismo dei finanziamenti e l’avvento del digitale ha sicuramente aperto nuove possibilità: ci piaceva il Dogma95 e l’agilità che permette il mezzo… per esempio con la pellicola, per lavorare sul contrasto, bisogna continuamente aggiungere e togliere fari. Il risultato è che normalmente si prepara per 3-4 ore un set nel quale si gira mezz’ora: col digitale può avvenire l’opposto. Noi usavamo due macchine, girando molto materiale, anche sporco, improvvisando molto con gli attori… tutto questo per ottenere il loro contributo personale, che era fondamentale. Per esempio non c’è stato quasi bisogno di girare piani d’ascolto supplementari: col digitale tutto il set è attivo, anche il fuori-campo… Poi invece lavoriamo con più attenzione in montaggio, quando dobbiamo raffinare questo “magma” ottenuto sul set…

Proprio il lavoro con gli attori (la maggior parte non professionisti) dà al film uno spessore di relazioni interpersonali, una forte dinamica di gruppo e caratterizzazioni non macchiettistiche che evitano di far scivolare l’operazione nella semplice parodia… altrimenti sarebbe bastato farne un cortometraggio.
Siamo partiti dall’idea di un gruppo di amici, e i gruppi di amici spesso sono di età simili: era inevitabile che finissero nel pentolone anche altri ingredienti, chiamiamoli “generazionali”… un cortometraggio si regge su un’idea, o funziona o no. A noi interessava sviluppare la situazione di un gruppo alle prese con una situazione ingestibile, e per questo ci vuole tempo: solo quando la paranoia da individuale diventa collettiva, scatta il meccanismo ansiogeno… Agli amici-attori dobbiamo riconoscere l’impegno per essersi seriamente immersi dentro quella situazione ed averla resa credibile: non “svaccano” mai, non si apre mai un varco verso la parodia pura e semplice…

Sarebbe stata una strada senza ritorno…
Sì, e soprattutto la parodia è un genere esaurito: andava bene quando il cinema si parlava poco addosso; oggi lo fa già spesso, e con serietà…

Invece, viva la faccia, Tafanos è godibile perché divertito e divertente…un gustoso mix tra horror e comico.
I due generi possono avere una situazione di partenza comune: un personaggio (o un gruppo) di fronte ad una cosa più grande di lui, che non sa come affrontare…

E quindi c’è spazio anche per quegli ingredienti generazionali, per le metafore…
E’ chiaro che i tafani possono rappresentare qualcos’altro… o forse no. Chi è cresciuto negli anni ‘70 ha spesso preso per vere una serie di immaginazioni, utopie… che poi magari si dimostravano illusioni, paranoie o peggio… è tipica della dinamica di gruppo per esempio l’esclusione del diverso, il razzismo: nel film c’è non solo verso la ragazza di colore, ma prima verso l’unico del gruppo di barbari ad avere una fede; oppure l’esclusione della ragazza che non parla la strana lingua dei barbari e invece poi l’incontro con le streghe, grazie ad una certa idea di relazioni anche sessuali brevi e di scoperta… tutta una serie di cose che forse nel film ci sono, o forse no… che possono essere lette in diversi modi, o forse no…

E l’arma segreta contro i tafanos è il fumo… di marijuana!
Però viene sempre sottolineato che il suo effetto è temporaneo: è una difesa passeggera, non ci si trova rifugio sicuro, perché i tafanos sono sempre in agguato…

08 Maggio 2002

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