BARI – Ci sono esseri umani disegnati e felicemente accomodati su un tran tran lento e ordinato, ripetitivo e, per loro, rassicurante. Uno è Walter Vismara (Alberto Paradossi), impiegato in una fabbrichetta del pavese, che all’improvviso chiude: questo trentenne di provincia, oltre alla scarica adrenalinica per l’imprevisto scombussolamento viene frullato dalla grande città, è infatti una vivace e futuristica Milano che lo accoglie, nella fabbrica del cavalier Tosetto (Giovanni Storti), uomo con la mania del folber (il football, secondo un neologismo di Gianni Brera), che obbliga tutti i dipendenti a sfide settimanali, scapoli contro ammogliati.
Neri Marcorè – in anteprima al Bif&st, sezione ItalianFilmFest – ha scelto questa storia d’epoca e questo personaggio – liberamente ispirati al romanzo omonimo di Roberto Perrone – per il suo debutto dietro la macchina di presa con Zamora, titolo del film, dal fenomenale portiere spagnolo degli Anni ’30, soprannome che il collega spaccone Gusperti (Walter Leonardi) affibbia per sfottò al protagonista, che detesta il gioco del calcio. E poi c’è l’amore, quello che Walter nutre per Ada (Marta Gastini), la segretaria dell’azienda milanese, perché l’individuo non sempre – o quasi mai – basta a se stesso.
Come l’autore del film ci ha abituati a far conoscere l’artista che è, Zamora lo rispecchia, è infatti un film umanamente delicato, dalla zampata ironica garbata ma mai assente, con una capacità empatica profonda, sempre col guizzo della vivacità.
“Zamora è il mio film più bello. Anche perché è l’unico che abbia mai diretto ma mi auguro davvero non sia l’ultimo. In ogni caso me ne prendo tutta la responsabilità, perché il film rispecchia totalmente il mio gusto e ciò che volevo raccontare”, dice Marcoré.
Neri, per il suo esordio ha scelto l’epoca, gli Anni ‘60: perché il desiderio di raccontare un tempo passato, ma in cui – al contempo – si rintracciano note di contemporaneità?
Ho scelto questa storia perché mi sembrava di poter raccontare bene i movimenti dell’anima di un protagonista, che è impacciato, che non ha ancora preso in mano la propria vita, e nel quale in qualche modo vedevo me stesso, anche se in anni adolescenziali. Prendendo spunto dal romanzo di Roberto Perrone, del quale ho letto tutto, e che ammiro tantissimo come autore, mi sembrava fosse il terreno su cui potessi mettermi in gioco come regista alla prima esperienza, conoscendo gli argomenti che stavo per trattare. Il film è ambientato negli Anni ’60 ma parla ai tempi di oggi, proprio perché il cardine del film, che io considero fondamentale, molto più del calcio, che è un pretesto, è il rapporto tra esseri umani, e tra uomini e donne: è una storia sentimentale che non va secondo le aspettative del protagonista ma che lui dovrà elaborare, perché ci troviamo di fronte a un amore che non sboccia e che dovrà accettare come tale, facendo autocritica e pensando di dover migliorare, anziché reagire in maniera violenta o sbagliata, come purtroppo succede sempre più spesso in questa epoca contemporanea. Quindi, i personaggi femminili sono completamente immersi nello spirito degli Anni ’60, con ruoli subalterni agli uomini come era allora, però ognuna di loro tira fuori il proprio carattere, la propria libertà di pensiero, la propria modernità: mi piaceva sottolineare questa marcia in più che le donne hanno e nella quale credo, al di là del film.
E da musicista, quale lei è, come ha risolto l’epoca da un punto di vista musicale?
La musica degli Anni ’60 è bellissima e il film si dota di cinque canzoni di Garber, Bindi, Nada, Morandi e Gimmy Fontana, a cui si aggiunge la musica composta da Pacifico, con cui ci siamo divertiti a cantare insieme una canzone, El Matt, che fa da sfondo anche sui titoli di coda, e un’altra, Mamma non sai che disperazione, che canto io, doppiando l’attore che interpreta il musicista in balera; un’altra cosa che mi fa molto divertire è che, nei titoli di coda, si veda l’Ottavio, che in realtà è un personaggio che non vediamo mai nel film, interpretato proprio da Pacifico, una cosa di cui ridiamo molto e per cui lui finge di essere offeso.
Quali sono le caratteristiche d’interprete di Alberto Paradossi che l’hanno convinta fosse giusto per incarnare Walter Vismara?
Una cosa che ho scoperto da regista è che quando uno fa un provino non conta tanto la bravura, perché la scelta cade su coloro nei quali vedi la possibilità di poter tirar fuori le corde che hanno dentro di sé per il meglio del personaggio. Di lui, mi ha sorpreso mi facesse ridere anche quando non c’era necessità, lo trovavo buffo, mi sorprendeva in levare e quindi mi sono innamorato subito di lui e appena finiti i provini ho detto: ‘per me è lui il protagonista’, quindi è stato proprio un colpo di fulmine, e in effetti è stata un’intuizione giusta, perché è bravissimo. Sono ben felice che lui abbia avuto questa occasione per mettersi in luce e da qui in poi gli auguro davvero una carriera sfolgorante, un po’ come era successo a me con Avati quando mi aveva chiamato a fare il protagonista de Il cuore altrove.
Lei – marchigiano trapiantato a Roma – conosce lo spirito della provincia, ma in Zamora racconta una provincia dalla personalità specifica, quella operosa e piccolo borghese dell’Oltrepò. Cosa l’ha affascinata, cosa l’ha respinta o spaventata, come i climi umani di questi posti le sono stati utili per l’atmosfera del film e per le psicologie dei personaggi?
La provincia è provincia dappertutto, ovviamente con proprie caratteristiche specifiche: il fatto che io sia nato in provincia, dove può contare la considerazione che i vicini abbiano di te o che ogni cosa possa essere messa in piazza, è una caratteristica che definisce la provincia, con i suoi pro e i suoi contro. E’ così che dei comportamenti, talvolta, vengano condizionati dal giudizio degli altri, e questo rientra nella storia di Zamora, come quando la sorella fa un annuncio in famiglia, e il padre reagisce dicendo ‘cosa penseranno adesso i vicini?’; mi piaceva restituire questa grettezza, questo modo piccolo di pensare che allontana dalla possibilità di ognuno di essere indipendente e prendersi in mano la propria vita. Non a caso ho appunto scelto questa storia per mettere molte cose che riguardano me.
Per supportare Walter c’è lei, Giorgio Cavazzoni, ex portiere caduto in disgrazia, ma mentore per Walter e chiave di volta per la sua ribellione. Cosa rappresenta metaforicamente e psicologicamente il suo personaggio e perché s’è scelto proprio questo da interpretare?
Mi son scelto questo perché mi piace il ruolo del mentore, anche perché ormai ho una certa età e quindi l’idea di tirar fuori da questo protagonista tutto il meglio che potesse esprimere sulla base della mia esperienza era qualcosa che mi stimolava; poi, oltre a questo, sono due personaggi che si tirano su l’uno con l’altro: la loro amicizia serve a uno per far emergere le proprie caratteristiche e prendersi in mano la vita, all’altro per venir fuori da una situazione di alcolismo e dal lasciarsi andare, quindi ritrovando la propria dignità specchiandosi negli occhi dell’altro, in una forma di crescita reciproca.
Per la regia, aveva dei riferimenti o delle visioni cinematografiche a cui ha guardato, da cui ha cercato di far proprio qualcosa, o che ha provato a omaggiare? Cita da Kim Novak per Hitchcock a Giulietta degli Spiriti.
Risento dell’impronta di Avati con cui ho avuto opportunità all’inizio. Lui si mette vicino alla macchina da presa e io ho seguito questa indicazione. Tanti altri sono i riferimenti da cui ho preso spunto, ma non è il caso di parlare di stile, perché quello si vede dopo tanti film: mi piace il cinema francese, con sapori e atmosfere che arrivano in maniera dolce e progressiva; è un film che in Francia potrebbe andar bene.
Nel cast – tra gli altri – anche Anna Ferraioli Ravel, nel ruolo della sorella di Walter, e Pia Lanciotti, la loro mamma; Giacomo Poretti, ovvero il cavalier De Carli; Davide Ferrario, il portiere degli ammogliati, e Antonio Catania, il commendator Galbiati, il padrone della fabbrichetta di Vigevano, quello che un giorno ha convocato il Vismara dicendo: “chiudo la baracca e me ne vado a Bordighera a godermi la vecchiaia con la mia signora”, senza però lasciar a piedi Walter, che raccomanda appunto a Tosetto come “miglior contabile di tutta la Lombardia”.
Zamora, dedicato da Marcorè a Roberto Perrone, che è riuscito a leggere solo la sceneggiatura prima di mancare, esce al cinema dal 4 aprile con 01 Distribution, prodotto Pepito Produzioni e Rai Cinema.
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