Morgan Neville: stimo Rosi, spero in grande distribuzione per ‘Fuocoammare’ in USA

Il regista premio Oscar è nella sezione Berlinale Special con The music of strangers: Yo-Yo Ma and the Silk Road Ensemble


BERLINO – “Vorrei tanto vedere Fuocoammare di Gianfranco Rosi. Il suo ultimo film era grandioso, mi piacerebbe che queste opere avessero una distribuzione più ampia in USA”. Lo dice Morgan Neville, regista di The music of strangers: Yo-Yo Ma and the Silk Road Ensemble, documentario presentato in anteprima europea al festival, nella sezione Berlinale Special. Dopo 20 Feet from Stardom, vincitore di un Oscar, e l’acclamato Best of Enemies, il documentarista racconta ora il potere universale della musica: un percorso che unisce i popoli oltre i limiti geografici, una strada che collega tutti i Paesi del Mondo, come una moderna Via della Seta.

Il Silk Road Ensemble, il collettivo di musicisti e artisti fondato dal leggendario violoncellista Yo-Yo Ma, nasce proprio per esplorare questo potere che travalica ogni confine. Il regista segue i pellegrinaggi di alcuni di questi artisti dando vita a un’intensa cronaca personale di passione, talento e sacrificio. Per dipingere il ritratto vivido di un esperimento musicale coraggioso e rivoluzionario, alla ricerca degli indissolubili legami che uniscono l’umanità intera. E che rendono evidente la futilità delle convenzioni che la vorrebbero divisa.

Il film sarà poi presentato in anteprima italiana a giugno nell’ambito della dodicesima edizione di Biografilm Festival | International Celebration of Lives (Bologna, 10-20 giugno 2016) e successivamente distribuito nei cinema italiani da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection in collaborazione con Fil Rouge Media.

 Con il regista, a presentare la pellicola, ci sono anche i musicisti Cristina Pato e Kinan Azmeh, che analizzano l’esperienza dal punto di vista più strettamente artistico: “Il film enfatizza il potere della musica – dice Pato –  perché si sofferma sulle storie personali di ciascuno dei musicisti, e rende ciascuno di noi parte di un contesto più ampio. Quando suono per mia madre lo faccio senza pensare al pubblico. E l’emozione diventa protagonista. In questo senso la musica trascende il suo ruolo e diventa universale. E’ stimolante unire diverse estrazini musicali e culturali. Far suonare uno strumento usato per musiche tristi con uno usato per musiche allegre. Io ho una formazione classica, molti musicisti in varie parti del mondo non sanno scrivere la musica. Ma se non giudico quel modo di fare e anzi provo a fare musica in quel modo anch’io, allora si va avanti e si impara qualcosa”.

“Forse – aggiunge Azmeh – un concerto dal vivo è certamente più coinvolgente di uno registrato, però questo non è un film sulla musica, ma un film su come la gente percepisce la musica. E dunque ci porta a porci delle questioni, sul nostro ruolo di artisti, su cosa facciamo, su cosa possiamo fare. La musica ha slanci e limitazioni. Vorremmo cambiare il mondo con l’arte ma è chiaro che non possiamo farlo, da soli. Facendo musica non posso aiutare i poveri o liberare un prigioniero politico, ma questo non significa che debba starmene da solo a casa pensando ‘non posso fare niente’. Ci sono molti modi per essere pro-attivi, politicamente o socialmente. Alla base di un buon percorso artistico ci sono tre cose: devi avere un’idea e qualcosa da dire, devi avere degli strumenti, che siano le corde vocali o altro, e devi essere bravo a usarli”.

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