Monica e il filosofo a Spilimbergo

Monica Guerritore e Fabio Zamarion protagonisti di un affollato incontro al Festival della Luce organizzato dalla rivista 8 1/2 e condotto da Laura Delli Colli


SPILIMBERGO – “Il mio primo ciak? Con Vittorio De Sica, a 13 anni appena. Ero una ragazzina – racconta Monica Guetrritore – per caso amica di Christian De Sica, Robertino Rossellini e altri ‘figli’ del cinema. Neanche potevo immaginare che avrei fatto l’attrice, ma a De Sica servivano dei ragazzi su un set di personaggi decisamente agée e così andammo tutti insieme, a fare gli attori per la prima volta, come in un grande gioco”. In un sanatorio pieno di ‘malatini’, la scena era decisamente semplice: “dovevo solo bere un bicchiere di latte e piangere ma proprio non sapevo come fare: strizzavo gli occhi, facevo la faccia triste ma non succedeva niente. A un certo punto De Sica fece il vocione, cominciò a strillarmi e io, spaventata a morte, ho abbassato gli occhi e rossa di vergogna sono esplosa in un pianto dirotto”.

Oltre quarant’anni dopo, davanti a una platea che ascolta in silenzio perfetto interrompendo solo con gli applausi, Monica Guerritore racconta questa sua prima esperienza sul set come in un monologo che conquista subito l’attenzione del pubblico. Parla di De Sica, certo, ma anche dell’emozione vissuta nel trovarsi per la prima volta dentro la macchina del cinema. E sotto i riflettori.

E’ Spilimbergo, e alle Giornate della Luce proprio Monica, nel ‘mirino’ non dei giornalisti né del pubblico ma della macchina da presa, inaugura l’Incontro di 8 e ½ che la rassegna diretta da Gloria De Antoni e Donato Guerra ha promosso quest’anno come evento inaugurale abbinando Monica ad un grande autore della fotografia come Fabio Zamarion: la luce e lo sguardo di Giuseppe Tornatore, ma non solo.

Ad entrambi Laura Delli Colli – per la terza volta moderatrice, per la rivista di Luce Cinecittà, degli Incontri alle Giornate di Spilimbergo – chiede di mettere a fuoco ricordi ed esperienza, ma soprattutto di raccontare come hanno vissuto il set, sotto gli ‘archi ‘, i ‘bruti’ e le ‘padelle’ – così la troupe parla di luci – oggi meno calde di un tempo, nel rapporto profondamente cambiato tra pellicola a digitale. “La luce disegna, taglia, diventa uno strumento che nelle mani del regista più del copione aiuta a volte a mettere a fuoco l’umore di un personaggio”, dice subito Guerritore. “E vedere come sotto la luce si muove un protagonista ti fa subito capire la differenza tra un ‘vero’ attore e chi invece ha solo la tecnica del set”, aggiunge Fabio Zamarion che prima di incontrare Tornatore deve in realtà il suo esordio al maestro di tutti, Vittorio Storaro ma anche a una generazione di artigiani d’oro, quelli che a partire per esempio da Carlo Di Palma si chiamavano direttori della fotografia e non avevano pulsioni d’autore ma solo la voglia e anche la disciplina di vivere il film accanto al regista, al servizio della sceneggiatura e delle scelte d’autore.

Un punto in comune Guerritore e Zamarion in realtà ce l’hanno da quando nel 2008, già dieci anni fa, s’incontrarono sul set di Un giorno perfetto di Ferzan Ozpetek, che tutti e due ricordano con affetto, stima e particolare emozione. Un’esperienza felice perché “Ferzan è uno che ama i suoi personaggi ed è sempre dalla parte degli attori – dice subito Monica – li valorizza, li ascolta, la luce con la quale ci chiede di disegnare il loro personaggio è il primo a sentirla con assoluta complicità. E non come si faceva un tempo solo con il calore né con gli strumenti di misurazione, gli esposimetri, ma con un tocco davvero speciale”.

“Sì, pensando a quel film ma non solo aggiungo che Ozpetek è un autore che sa dare immediatamente anche  il carattere fotografico al film – dice da parte sua Zamarion – Qualcosa che ho vissuto ovviamente in modo speciale con Giuseppe (Tornatore) ma anche con il mio primo film, accanto a un regista dei più attenti all’immagine e dei più consapevoli sulla qualità dell’inquadratura, come Emanuele Crialese”. Era il 2002, il film, interamente girato a Lampedusa, è Respiro. E nel mirino di Zamarion c’era allora Valeria Golino. “Anche in quel caso un’attrice capace di monopolizzare lo schermo e di entrare nel film e nel personaggio oltre quello che il set poteva darle attraverso la luce”, spiega ancora.

Ma quanto conta, sul set, una buona intesa con il direttore della fotografia e quanto la luce può intervenire sul carattere della storia? Monica Guerritore si alza in piedi, per un attimo come a teatro più che su un set e in un lampo fa vivere al pubblico che ascolta rapito l’emozione di una scena. Ti aspetti che in sala qualcuno dica motore, ciak e poi azione! Ma il regista non c’è e siamo in una rassegna che, non a caso, nasce in un luogo dalla luce speciale. Resta però la sensazione di aver vissuto un momento di autentico cinema, sotto i riflettori.

A proposito di riflettori, quanto conta una buona base naturale su cui lavorare per un direttore della fotografia? Risponde Zamarion: “Per me che sono nato ai tempi della pellicola con l’esposimetro tra le mani e il ‘vetrino’ al collo misurarla è ancora un’abitudine ma oggi le tecnologie hanno reso tutto più perfetto, non facile ma certamente più freddo, forse artificiale, in grado di comprimere i tempi di lavorazione e soprattutto di anticipare l’effetto sorpresa dell’immagine. Tempi, però, in grado di restituire ad un cielo la naturalezza dei suoi cambiamenti di tono come a un protagonista il senso di una sua mutazione d’umore”.

Un clima perfetto per non dimenticare mai che tutto, comunque, nel cinema ha un’anima e nasce da un grande artigianato, quello – unico e irripetibile – di chi lavorava con i ‘velatini’ rubati alle calze di seta. Monica ascolta e prima di prendere l’ultimo applauso svela una piccola curiosità: “magari domani provo a metterlo, un ‘velatino’ fatto in casa, rubato alla grana del collant sul mirino del telefonino. Non sarà l’effetto di una rivoluzione digitale ma chissà…In fondo la fotografia ha sempre in sé qualcosa di sorprendente. Che pochi festival riescono a indagare in pieno. E che a Spilimbergo ormai da quattro anni ha trovato casa e attenzione. Anche nelle mostre dedicate alle foto per cinema, firmate Cinecittà, ma anche da autori eccellenti ‘rubati’ al cinema come Enrico Vanzina e Giovanni Piperno. Quanto alla luce, citando Friedrich Nietzsche, “ci sarà sempre una zona scura, uno scorcio, un lato che la mia finitezza non può catturare…”, scrive proprio sul suo sito ufficiale Monica Guerritore. Zamarion sorride ma, chiuso l’incontro ufficiale, resta la sensazione che nelle mani di chi la luce la governa quotidianamente non vada proprio così: ci perdoni il filosofo (che oggi avrebbe forse qualche ripensamento…) ma c’è chi sa sempre sul set come riuscire a catturarle, quelle ‘zone scure’, dando corpo alle emozioni e sostanza alle interpretazioni.

Ospiti al festival nei prossimi giorni anche Marco Risi e Gianni Amelio. E Nicola Piovani nell’ultima serata, quando si avranno anche le premiazioni per il miglior Autore della Fotografia 2018.

12 Giugno 2018

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