VENEZIA – Matteo Garrone sorprende e commuove, ma lascia anche spazio alla riflessione, con il suo nuovo film Io Capitano, che racconta il viaggio avventuroso di Seydou e Moussa, due ragazzi giovanissimi che lasciano Dakar in Senegal, pieni di sogni e di speranze, per raggiungere l’Europa. Si imbarcano in un “viaggio della morte”, non per fame o per sfuggire a una carestia o alla guerra – hanno un’esistenza dignitosa e una bella famiglia – ma per quel desiderio di avventura che condividono con tanti loro coetanei europei, che magari vanno in Erasmus.
Purtroppo, come sappiamo, il loro viaggio verso Nord si trasforma in un’Odissea, anzi un incubo: l’attraversamento del deserto con le sue insidie mortali, il tradimento del trafficanti di uomini che non mantengono le promesse, i predoni libici che rapiscono e torturano per estorcere altro denaro, la sosta in Libia per lavorare nell’edilizia ma anche la solidarietà con un migrante più anziano e paterno, infine il viaggio in mare a bordo di una carretta che a malapena sta a galla e che non ha neanche un capitano. Seydou, nonostante la giovane età, i sogni e i sensi di colpa verso la madre che ha lasciato senza neanche salutarla, tiene la rotta della sua vita: non vedremo la sua nuova esistenza in Italia, possiamo solo immaginarla perché il film si ferma sulla nostra costa, a Marsala, ma è certo che se la caverà perché la forza d’animo non gli manca.
“Io Capitano – spiega Matteo Garrone che è anche produttore del film dal 7 settembre in sala con 01 – nasce dall’idea di raccontare il viaggio epico di due giovani migranti senegalesi che attraversano l’Africa, con tutti i suoi pericoli, per inseguire un sogno chiamato Europa. Per realizzare il film siamo partiti dalle testimonianze vere di chi ha vissuto questo inferno, in particolare il nostro consulente Mamadou Kouassi, e abbiamo deciso di mettere la macchina da presa dalla loro angolazione per raccontare questa Odissea contemporanea dal loro punto di vista, in una sorta di controcampo rispetto alle immagini che siamo abituati a vedere dalla nostra angolazione occidentale, nel tentativo di dar voce, finalmente, a chi di solito non ce l’ha”.
I due interpreti Seydou Sarr e Moustapha Fall, emozionati alle prime richieste di autografi della loro vita, sono bravissimi in una favola nera che si concentra interamente su di loro, sui loro volti e sui loro corpi, ma che non è un documentario, piuttosto una versione contemporanea di Pinocchio. E proprio a un Pinocchio africano, rivela di aver pensato Matteo Garrone già molti anni fa, “in fondo anche Collodi aveva l’intento di mettere in guardia i giovani dai pericoli del mondo circostante”.
Il regista romano, autore di un successo come Gomorra, vincitore del Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes, di cinque European Film Awards, sette David di Donatello e nominato ai Golden Globe per il miglior film straniero, quindi di titoli raffinati e personali come Dogman o Il racconto dei racconti, non teme strumentalizzazioni politiche: “Il tema che tocco è un archetipo, il viaggio verso una terra promessa da un paese più povero a uno più ricco, e noi siamo italiani lo sappiamo bene cosa significhi. E poi c’è come una domanda che loro si pongono: perché i nostri coetanei possono venire liberamente in vacanza in Senegal e noi se vogliamo andare lì dobbiamo rischiare la vita? C’è un tema di libertà, di libertà di circolazione e di giustizia e questo va al di là della politica sui migranti in Europa”.
E’ notizia di oggi che Henri-Didier Njikam, responsabile delle comparse e controfigure del film, non sia potuto venire al Lido perché l’ambasciata italiana a Rabat gli ha negato il visto.
Il film è scritto da Matteo con Massimo Gaudioso, Andrea Tagliaferri e Massimo Ceccherini. “Ceccherini mi ha aiutato tantissimo in Pinocchio e qui. Questo è un grande racconto d’avventura, un racconto popolare senza grosse sovrastrutture intellettuali e Massimo, che viene dal popolo, conosce bene queste dinamiche drammaturgiche, ha la semplicità necessaria”. Altro apporto fondamentale è quello di Mamadou Kouassi, che spiega: “Il film racconta noi giovani africani che vogliamo un futuro migliore. Lo stesso viaggio l’ho fatto io 15 anni fa, dall’Africa subsahariana attraversando il deserto, la Nigeria, la Libia. Sono stato in prigione, ho visto persone vendute e altre morte in mare. Ringrazio lo Stato italiano se oggi sono inserito, vivo a Caserta. Ma penso che dovremmo poter viaggiare liberamente, come diceva anche il presidente Sergio Mattarella e questo potrebbe frenare il traffico di esseri umani”.
Non manca per Garrone una domanda sulla mancata presenza a Cannes. “Cos’è Cannes? Un festival?”, scherza. E prosegue: “Ho ricordi meravigliosi di Venezia, dove sono venuto la prima volta a 20 anni per giocare a tennis. Quella volta incrociammo Nanni Moretti. Sono tornato a 28 anni con Ospiti, dormendo tre giorni all’Excelsior e tre giorni in un furgone scassato. Nel frattempo ero diventato un appassionato di cinema e mi godevo questo bellissimo festival. Ma questa è la prima volta in concorso, una partecipazione che può dare un grande aiuto al nostro film per arrivare al pubblico”. E sugli Oscar, dove potrebbe approdare nella categoria del film straniero, risponde laconicamente: “Se mi invitano…”.
Matteo spiega ancora le ragioni di questo lavoro: “Non c’è solo la migrazione legata alla disperazione assoluta, l’Africa è formata da 52 Stati e c’è anche una migrazione interna. Non tutti hanno i soldi per venire in Europa. L’importante per me era raccontare i riflessi della globalizzazione, così anche chi vive una povertà dignitosa cerca un futuro migliore, magari col sogno di diventare calciatore o cantante ma anche per conoscere il mondo. Ci sono ragazzi – e la popolazione africana è composta al 70% da giovani – che non hanno paura di rischiare la propria vita, qualcuno non crede negli avvertimenti di chi dice che il viaggio è pericoloso e potrebbe essere mortale”.
L’idea di far guidare la barca con 250 migranti a un adolescente viene da una storia vera. “Ho incontrato Fofana via Skype, oggi sta in Belgio, fa il magazziniere, è sposato con una ragazza conosciuta a Catania e ha dei bambini, non è qui perché non ha ancora il permesso di soggiorno. Lui cercava di mimetizzarsi, ma tutti erano così riconoscenti al ‘capitano’ che la polizia italiana lo ha subito individuato e ha fatto sei mesi di carcere. Aveva 15 anni”. E se il film è un incontro tra Gomorra e Pinocchio, nelle parole di Matteo, “la parte onirica e di fiaba è importante per raccontare l’anima dei personaggi, i loro sensi di colpa e i loro sogni. Il film si muove su due percorsi, un road movie attraverso l’Africa, Odissea contemporanea, e l’altro più interiore, un viaggio dell’anima”. La struttura – spiega – è quella del viaggio dell’eroe. “Nella parte iniziale abbiamo creato dei personaggi che mettessero in guardia i nostri dai pericoli e abbiamo cercato di scrivere seguendo i canoni del racconto di avventura. E’ un film accessibile ai giovani delle scuole che potranno identificarsi e prendere coscienza dei loro privilegi”.
Io Capitano esce in lingua originale (Wolof e francese) in 203 copie dal 7 settembre.
di Cristiana Paternò
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