Manetti Bros.: ecco la nostra ‘fantascienza da camera’


“Fantascienza da camera”. E’ questa l’azzecatissima definizione di Ennio Fantastichini per L’arrivo di Wang, film dei Manetti Bros. in arrivo in sala il 9 marzo con Iris Film, di cui è protagonista insieme a Francesca Cuttica e Juliet Esey Joseph. I registi, con cui scambiamo qualche parola sul film, ci perdoneranno se riveliamo subito che il ‘Wang’ del titolo, che inizialmente sembra un misterioso signore della mala cinese, è in realtà un alieno tentacolato. D’altro canto, gli ‘roviniamo’ solo il primo di molti altri colpi di scena. Il bello è che quasi tutta la pellicola si svolge in una misteriosa stanza, da qualche parte a Roma, dove l’agente segreto Curti (Fantastichini) interroga con metodi brutali l’extraterrestre (interpretato da Li-Yong e poi sostituito digitalmente da un marziano in Cgi), che però parla solo cinese mandarino.

 

“Essendo la lingua più parlata del mondo – spiegano i Manetti – il suo popolo credeva che fosse anche quella più diffusa. Hanno preso una cantonata, ma la scelta è stata casuale e non ha nulla a che vedere con la metafora di un’invasione da parte degli orientali. Ma ci serviva a livello di sceneggiatura perché abbiamo pensato che i servizi segreti capitolini, per quanto non proprio efficienti, fossero già coperti sulle lingue principali, inglese, francese e spagnolo. Il personaggio di Francesca, un’interprete che viene suo malgrado coinvolta nella delicata vicenda, doveva venire ‘da fuori’. L’idea è nata proprio da qui: cercare di immaginare una reazione realistica e non ‘hollywoodiana’ alla vista di un visitatore da un altro pianeta. In fondo, perché no? Tutti, ragionando in termini di statistica, arriviamo alla conclusione che gli alieni esistono, ma è più facile riuscire a vedere un fantasma che un extraterrestre. Tutti diciamo che esistono, ma di fatto è come se non esistessero, dunque la nostra reazione di fronte alla loro presenza potrebbe essere di qualunque tipo, non solo quella codificata dal cinema americano”.

Infatti avete girato a Roma…
Beh, quello dipende dal fatto che siamo romani, ci è venuto spontaneo. Ma del resto, non è un po’ strano che questi alieni debbano sempre atterrare a Los Angeles? Vi risulta che ci siano mai stati avvistamenti da quelle parti? Giorni fa leggevamo un’intervista di Brizzi, che peraltro stimiamo, in cui dichiarava che avrebbe avuto difficoltà a realizzare un film sci-fi, perché a suo parere non era credibile veder atterrare un astronave al Quadraro. Per noi invece non c’è niente di strano, anzi, abbiamo ‘rosicato’ perché ci ha fregato l’idea: l’avesse detto prima, avremmo scelto proprio quella zona invece che San Pietro.

Essere scelti per partecipare a Venezia, in concomitanza con ‘L’ultimo terrestre’ di Gipi, dal tema analogo, è già stata una bella vittoria…
Assolutamente. Per noi è un segnale. Vuol dire che il film ha avuto il suo peso, al di là del ‘genere’ o degli effetti speciali. E’ un film fatto dagli attori, con grandi interpretazioni. Esce bene grazie all’appoggio dei tre finanziatori, Dania, Pepito e Surf Film. Il patto è stato che noi ci saremmo accontentati di piccoli budget, in cambio della possibilità di avere carta bianca, ed è stato rispettato. Non siamo qui per fare critica al sistema, ma nessuno ti permette di fare un film del genere se non te lo finanzi da te, per cui il grosso del rischio ce lo siamo preso noi. Poi, la Dania in particolare, è una casa di distribuzione con grosso esperienza di ‘genere’. Il film di Gipi non l’abbiamo visto ancora, ma ci fa piacere pensare che stia crescendo una “nuova” generazione di registi si fa per dire, visto che non siamo poi così giovani che prende un certo tipo di cinema più seriamente di quanto non avesse fatto la generazione precedente.

Ma, alieni a parte, il vostro film di cosa parla?
La fantascienza è molto spesso usata come veicolo spettacolare per parlare della realtà che ci circonda, specie quella ‘alta’, per esempio Asimov. Facciamo film innanzitutto per dare spettacolo, chiaro, di qui certi ‘twist’ della trama, come il finale a sorpresa, ma in fondo si parla di incomunicabilità e pregiudizi. In ogni senso: Curti crede che l’alieno sia ‘cattivo’ solo perché diverso, ma anche l’ingenuità di Gaia, l’interprete, che vede nel diverso sempre qualcosa di buono, risponde a una logica pregiudiziale. Il vero rispetto verso l’altro sta nella volontà di conoscerlo, prima di giudicarlo, e nel considerarlo innanzitutto un ‘essere’, al di là del suo aspetto, senza dover necessariamente etichettarlo come ‘buono’ o ‘cattivo’. Ma noi non giudichiamo neanche i nostri personaggi: sono i nostri figli, i nostri genitori, le persone che conosciamo. Capiamo la diffidenza di Curti, l’ingenuità di Gaia, che ancora non conosce il mondo e già pensa di sapere tutto, la reazione violenta della donna che si trova in casa questa bestia tentacolata.

E voi, che pregiudizi affrontate?
Beh, notiamo un pregiudizio forte nei confronti del pubblico, che viene sempre sottovalutato: si pensa che non abbia voglia di vedere film con temi controversi, o magari di leggere due righe di sottotitoli. Ma se Star Wars, che è uno dei più grandi incassi della storia, è pieno di sottotitoli, evidentemente c’è qualcosa di sbagliato in questo modo di pensare. Noi li abbiamo usati e ci sembra proprio che funzioni. Poi è stata molto brava anche Francesca, che ha dovuto imparare il cinese mandarino in neanche 20 giorni.

Raccontateci meglio degli effetti speciali…
Fosse stato per noi avremmo fatto l’alieno in motion capture. Siamo d’accordo con Spielberg, Lucas e Jackson: nessun effetto computerizzato può competere con una prestazione attoriale, e poi gli animatori tendono sempre a ‘esagerare’ le espressioni dei personaggi finendo così per renderle meno realistiche di quanto dovrebbero essere. Non potevamo permetterci però di catturare i movimenti di Li-Yong, per problemi di budget, per cui ci siamo ‘accontentati’ di farlo in filosofia motion-capture, ovvero abbiamo molto insistito con i tecnici della Palantir, bravissimi, perché ribattessero esattamente quanto fatto da lui e non caricassero i suoi movimenti facciali e corporei. Tra l’altro, dopo aver fatto il film ci siamo resi conto di quanti problemi gli abbiamo creato. Perfino nelle produzioni americane gli extraterrestri si vedono in ombra e per poco tempo, mentre Wang, a parte il momento di ‘mistero’ iniziale, è sempre inquadrato da vicino e in piena luce.

Quanto vi influenzano il cinema e i serial Usa?
Parecchio, ma non a livello conscio. A dispetto di quel che si crede, non ci sentiamo tarantiniani, nel senso che non siamo ‘citazionisti’. Però siamo anche spettatori appassionati, quindi è chiaro che certe produzioni, per esempio la serie Tv 24, la nostra preferita, ci influenzano parecchio. Tra l’altro crediamo che, a livello di innovazione, specie negli anni passati, i serial abbiano superato il cinema. Però specifichiamo anche: il copyright della spettacolarità, o della visionarietà, non ce l’hanno mica gli americani. Noi abbiamo scritto l’Eneide quando gli americani nemmeno esistevano. Il problema però è che negli ultimi anni il cinema italiano ha rinunciato a raccontare con le luci, con i suoni – o con la loro assenza – affidandosi esclusivamente alle sceneggiatura. Ma siamo pur sempre il paese di Caravaggio e di Fellini, e sarebbe il caso di recuperare il valore dell’immagine. Molti colleghi magari sono esperti di fotografia, ma in modo esclusivamente tecnico, parlano di ottiche o di sensori e tutte queste cose. Noi abbiamo girato il film con la Canon D7, la macchinetta fotografica che ormai è usatissima per la realizzazione di cinema in digitale. Non conosciamo tutti i suoi dettagli a livello tecnico, ma sappiamo che quando inquadriamo, il risultato è bellissimo.

Che accoglienza ha avuto il film all’estero?
Ci piace citare il nostro amico Federico Zampaglione. Noi siamo bravi a fare qualcosa che in Italia non si fa, o interessa a pochi. E’ come se fossimo campioni di baseball, in un paese dove la gente vuole solo il calcio. Torniamo al tema del pregiudizio: abbiamo fatto un film di fantascienza diverso da quelli di Hollywood, con effetti speciali che però usiamo per raccontare un certo tipo di umanità. Fuori dal paese, i riconoscimenti sono stati notevoli: lo abbiamo portato in giro per festival a Bruxelles, a Glasgow, a Sidney, e abbiamo ricevuto ottime critiche e anche molte chiamate, in certi casi, commoventi…

Tira aria di remake hollywoodiano? O magari una produzione in Usa?
Vorremmo tanto cedere e dirvelo, ma non possiamo. Non ancora.

Diteci allora quali sono i progetti futuri di cui potete parlare…
In ballo c’è un horror, L’ombra dell’Orco, già pronto. Anche quello avrà dei temi controversi, che spaventano perfino noi, ma il genere è più ‘facile’, per il mercato italiano, rispetto alla fantascienza. Lo distribuirà Medusa, con cui non abbiamo rapporti molto diretti, per cui noi stessi sappiamo le novità dai giornali. Al momento, sembra che debba uscire a settembre.

01 Marzo 2012

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