Luka Zunic, classe 2001, nato a Riva del Garda, ha vissuto dall’adolescenza in poi a Torino, approdando qualche anno fa a Roma, un luogo che gli “restituisce l’amore per il cinema”. Di origine bulgara da parte di madre, e serba di padre, da bambino ha iniziato a fare teatro. “La maestra di allora vide in me del talento”, racconta a CinecittàNews. Un talento che ha cercato di coltivare studiando, anche se ci sono stati momenti in cui si è perso, fino a conquistare una consapevolezza diversa.
Ha da poco finito di girare una serie per la Rai diretta da Fabio Mollo (con il quale aveva già lavorato in My Soul Summer). “È il mio primo ruolo importante in una serie. Un personaggio che cambia”, ci dice con soddisfazione. Intanto è uscito nelle sale (con Lo Scrittoio-Cinema D’Autore) La cosa migliore di Federico Ferrone, presentato in anteprima ad Alice nella Città 2024, di cui il 23enne è protagonista. Anche in questo film, come nei precedenti Non odiare di Mauro Mancini (il suo esordio sul grande schermo quattro anni fa) e La ragazza ha volato di Wilma Labate, Zunic ha dovuto affrontare il ruolo di un ragazzo tormentato.
Luka, il tuo Mattia vive un momento di difficoltà nel quale va alla ricerca di certezze. Lascia la scuola, inizia a lavorare in una fabbrica e comincia ad avvicinarsi all’Islam attraverso un collega marocchino.
Dopo la morte del fratello, di cui si sente responsabile, è molto fragile e malleabile. Mattia cerca semplicemente un posto di appartenenza nel mondo, combattendo contro una solitudine molto forte. Sono partito da questo aspetto per costruire il personaggio.
Cercare un posto nel mondo riguarda la generazione di cui fai parte?
Ognuno di noi cerca qualcosa in cui rispecchiarsi, che può farlo sentire in qualche modo protagonista. È accaduto a tante persone, anche a me. Mentre ero alla ricerca di me stesso, mi è anche capitato di interfacciarmi con cose sbagliate, rendendomene conto solo in un secondo momento. La strada giusta l’ho trovata nella recitazione.
Hai interpretato fino ad oggi ruoli molto complessi.
Sono contento di prendermi la responsabilità di fare personaggi complicati. Mi stimolano sempre a fare meglio. Per queste storie di ragazzi sbandati, penso di essere la persona giusta. Proprio perché ho vissuto anche io un periodo simile, mi viene molto naturale recitando ruoli così, ricercare quell’emozione che ho provato tre, quattro anni fa.
Già da bambino sognavi di recitare?
In realtà sì. Devo ringraziare la mia maestra di teatro delle elementari, intravedendo del talento in me e parlandone con mia madre. Ho proseguito con il teatro alle medie e al liceo. Poi mi sono un po’ perso per due, tre anni. Non sapevo cosa volessi fare nella mia vita. E poi uscendo da quel periodo di adolescenza in cui ogni scelta che fai è più istintiva, iniziando a fare provini per il cinema sono stato preso in Non odiare. A quel punto c’è stata una svolta. Quando mi hanno scelto per quel film, ho preso coscienza di quello che volevo fare.
Che lavoro hai fatto in quel film, molto apprezzato dalla critica?
Avevo 18 anni e non mi ero mai visto sullo schermo. Mauro Mancini mi ha detto di vivermi le scene, così ho lasciato che venisse fuori Luka. Volevo che il mondo del cinema si accorgesse di me.
Oggi hai una consapevolezza diversa?
Penso di essere un attore completamente diverso. Sono cresciuto, più maturo, nel frattempo ho studiato tanto e spero di mettermi alla prova con nuovi ruoli, sempre diversi.
Sempre ad Alice nella Città sei stato protagonista di un altro film, I racconti del mare di Luca Severi.
È una commedia che fa sorridere ed emozionare. Lì interpreto Tonino, un ragazzo pugliese che si mette in testa di voler pescare un polpo vivo, che in Puglia è sinonimo di diventare grande. Per dare soddisfazione al padre, prende una barca e va in mezzo al mare. E lì incontra un migrante, un naufrago. Tra i due nasce una conversazione in inglese, che li porterà a far crollare tutta una serie di pregiudizi, anche se poi il finale sarà tosto, come poi è la realtà.
Ti piacerebbe interpretare anche personaggi più leggeri. divertenti?
Quest’ultimo film sa essere spensierato. Lo abbiamo irato a giugno, luglio e poco dopo ero sul set de La cosa migliore, completamente diverso per atmosfera e genere. Mi piacerebbe fare più commedie. Non voglio rimanere incastrato solo in un tipo di ruolo, in personaggi conflittuali e tormentati.
Con chi sogneresti di lavorare?
Gabriele Muccino è un autore che mi piace molto. Trovo che sappia emozionare parlando di relazioni, anche familiari, sentimenti, amore. Anche Luca Guadagnino è un regista che seguo e con il quale vorrei lavorare.
Quanta competizione c’è tra i giovani attori della tua generazione?
Esiste, sicuramente la sana competizione è quella che ti tiene vivo. Mi piace sapere che in un provino arrivo alla fine con un attore forte e che stimo. Certo, questo è un mondo competitivo. Però si possono creare anche delle amicizie. Come quella che ho con Francesco Gheghi, bravissimo nell’ultimo film di Francesco Costabile, Familia. Vederlo fare bene mi ha riempito il cuore di gioia.
Ma i no aiutano ad andare avanti?
Possono far male, ma alla fine sono un’occasione per studiare di più, capire cosa mi manca o magari semplicemente dirmi che non sono adatto per quel ruolo. La paura del rifiuto andrebbe insegnata, per porti delle domande e non crearti dei complessi. Bisogna imparare a non abbattersi. Io ho avuto due, tre provini per progetti importantissimi che non sono andati e non averli presi mi ha fatto stare male. Ma quei rifiuti mi hanno poi spronato.
Oggi siete tenuti a dover mostrare sempre tanto, per via dei social, farvi vedere sempre contenti e a mille.
I momenti di fragilità sono normali e il mondo dei social non è spesso reale. Io li uso per lavoro, racconto quello che faccio, condivido con gli altri, il pubblico, le mie esperienze professionali. Ma la mia vita privata preferisco tenerla solo per me.
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