Lo strano oggetto


Abbiamo sicuramente sbagliato noi la comunicazione sul programma Italia in Luce se una giornalista attenta e preparata come Alessandra Mammì (L’ Espresso in edicola fino al 7 giugno) pensa si tratti di un cambio di nome di Istituto Luce.

Negli ultimi anni certo la confusione non è mancata. C’erano prima due società Cinecittà Holding e Istituto Luce, poi fuse in Cinecittà Luce ora diventata (dopo la riforma imposta da Tremonti, avviata dal Ministro Galan e conclusa da Ornaghi) Istituto Luce-Cinecittà .

No Italia in Luce non è l’ennesimo cambio di nome, è solo un programma di cooperazione con Anica, Mibac, Sviluppo Economico, Esteri e Turismo per ottimizzare la promozione all’estero del nostro cinema in tutte quelle iniziative in cui si può “andare a braccetto” con altre eccellenze italiane quali i prodotti del Made in Italy e la promozione del Territorio. Se vogliamo metterla ancora più prosaicamente: è uno strumento perché anche il cinema possa rientrare nei programmi e nel finanziamento del Made in Italy e non essere da questo semplicemente usato come lo è stato finora. Tutto qua.

Ma entrando nel merito (al di là della involontaria errata interpretazione) di quanto dice la Mammì, ci sono alcune cose che mi preme chiarire.

Quando anni fa le società Cinecittà Holding, Luce e Filmitalia erano separate ma ugualmente finanziate sul Fondo Unico dello Spettacolo, i soldi a disposizione erano circa 34 milioni di euro. Nel 2012 le stesse attività potranno contare su un finanziamento a valere sul FUS di meno di 10 milioni di euro. Ecco perché Istituto Luce cerca partner per migliorare il servizio che deve fare per legge e per missione in favore della cultura e dell’industria cinematografica. Ecco il perché di Italia in Luce o dell’accordo con Telecom Cubovision per accelerare il processo di conservazione e la diffusione dell’enorme patrimonio contenuto nell’Archivio Storico del Luce (presente quest’anno per la prima volta a Cannes attraverso un touch screen interattivo).

L’articolo fa anche un quadro dei problemi del nostro cinema toccando tutti i nodi che vengono al pettine soprattutto nel confronto con il sistema francese: l’assenza di un Centro Nazionale di Cinema (di cui si parla da decenni) e del conseguente modo di finanziare attraverso una tassa di scopo tutta la filiera (produzione, distribuzione, promozione, esercizio…); l’inadeguatezza di investimenti/acquisti e di programmazione di cinema italiano da parte delle televisioni generaliste (ma aggiungerei anche SKY oltre alla inadeguatezza per non dire assenza di misure contro la pirateria); il poco coraggio dei produttori che sembrano voler investire solo nelle commedie e trascurare il cinema d’autore o di genere diverso.

D’accordo su tutto ma non sull’accusa al cinema pubblico di non assolvere più al dovere di produrre opere d’autore.
La legge dice che Istituto Luce Cinecittà non può produrre, ma solo distribuire opere prime e seconde di autori italiani (può invece produrre documentari che usino almeno in parte il materiale dell’archivio storico). Per produrre servono finanziamenti molto più importanti di quelli che ci vengono messi a disposizione dallo Stato. Se dovessimo cercare le coperture finanziarie nel mercato, faremmo concorrenza ai produttori indipendenti (fondamentalmente insisteremmo sulle stesse fonti di finanziamento).

Quello che invece è importante è supportare l’attività dei produttori indipendenti, aiutandoli a valorizzare i nuovi talenti che le distribuzioni commerciali molto spesso trascurano.Alcuni dei titoli citati dall’articolo e molti altri (Le quattro volte, Venti sigarette, Corpo celeste, Sette opere di misericordia, Là-bas – Educazione criminale, per esempio) sono stati portati all’attenzione del pubblico in questo modo e non producendoli direttamente. Semmai il problema è difendere questi titoli dai parametri di misura legati ai risultati del botteghino. Non si tratta di competere con numero di copie e investimenti pubblicitari milionari che non ci sono. Si tratta di costruire un circuito che attraverso il passaggio sala crei le condizioni perché questi titoli vengano visti in tempi più ravvicinati sulle piattaforme VOD, abituando anche gli spettatori al consumo legale (e a prezzi accessibili) del cinema in rete, di imporre che vengano VERAMENTE programmati in televisione che spesso ne hanno acquistato i diritti tv o addirittura li hanno coprodotti, di migliorare la comunicazione sui social network. Si tratta di evitare l’equazione per cui un’opera prima “è bella ma non ha fatto una lira”.

Tornando a noi, nessuno pensa di trasformare Istituto Luce Cinecittà da società di produzione a società di promozione dei film più commerciali. Non saranno i produttori di generi alimentari o di scarpe o di vino a scegliere quello che si dovrà produrre. Ma al contrario dopo essere stati beneficati dal cinema, devono oggi mettergli a disposizione le loro potenti reti di promozione.
E tutto questo attraverso uno strumento che lo stesso articolo auspica: meno settarismo e più sistema.

 

Roberto Cicutto, amministratore delegato Istituto Luce Cinecittà

04 Giugno 2012

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