“Cosa avresti da dire – chiede Anton Giulio Mancino iniziando l’intervista – ad un pubblico così eterogeneo che si accinge a guardare una scena del tuo film Il portiere di notte ?”. Liliana Cavani non si lascia sfuggire l’occasione: “Guardatela, poi ne parliamo!”, dice agli studenti, ai giornalisti e al pubblico che animano il Ca’ Foscari Short. La regista, che conta fra i suoi riconoscimenti un Leone d’oro alla carriera nel 2023 e un David di Donatello alla carriera nel 2012, si distingue come una delle maggiori voci del cinema contemporaneo. I suoi successi, fra cui spiccano Il portiere di notte (1974), Al di là del bene e del male (1977), Interno Berlinese (1985) e il recentissimo L’ordine del tempo (2023), sono tracce indelebili non solo della storia del cinema italiano, bensì di quello mondiale.
Cavani si è raccontata al Festival di Ca’ Foscari con passione, ricordando le difficoltà, i successi, le critiche e le censure di un’arte che, per lo standard italiano, era audace. I brani – “sempre troppo brevi” per coglierne il significato – proiettati durante l’evento hanno richiamato alla memoria tutta l’espressività di un cinema sapiente, sagace e intraprendente, ma che in fin dei conti non ha fatto altro che dire una verità. “L’istinto amoroso, – dice Cavani dopo la visione dell’estratto di Interno berlinese – è più libero di quello che crediamo: non cambia nulla, ma la libertà totale cambia tutto.” Non sono mancati, infatti, appelli da parte della regista riguardo ai problemi più spinosi delle società contemporanee: da una misoginia asfissiante a una glorificazione su tutti i fronti, compreso il cinema, della guerra e delle bombe nucleari, arrivando in L’ordine del tempo ad un appello per il ridimensionamento delle nostre prospettive. “Secondo me siamo matti da legare. La guerra è una sfida di fanciulli mediocri: un gruppo di maschi seccatissimi, arrabbiatissimi l’uno con l’altro. Si deve cambiare assolutamente e mi auguro che instauri un altro rapporto con la vita, più umano e luminoso. Siamo noi i nemici di noi stessi, stupidi e mediocri.” E aggiunde: “Mio nonno, socialista, credeva nel progresso che avanza. Pensavo avesse ragione, invece non è così. Certo, la scienza ci ha permesso di vivere di più, curare malattie. Ma ci siamo anche inventati delle armi assurde”. Salutata dagli applausi, Liliana Cavani ha assicurato che la sua ricerca espressiva non è giunta al termine: la regista, che sta lavorando a “qualcosa di stupore”, ci ricorda l’importanza di essere vivi e di non smettere mai di lottare.
Di rilevanza centrale il programma dedicato alla giuria internazionale, composta quest’anno da tre donne d’eccellenza. Le registe Antonietta De Lillo e Ghasideh Golmakani hanno selezionato due cortometraggi di loro produzione: Il signor Rotpeter, presentato fuori concorso a Venezia nel 2017, prende spunto dal racconto di Franz Kafka, mentre Horn è il racconto dolceamaro di una donna che, sullo sfondo delle strade di Teheran, cerca di dimostrare agli uomini di saper bastare a sé stessa. Cynthia Felando, docente di cinema presso l’università californiana UCSB, ha selezionato Exam diretto dalla regista iraniana Sonia K. Hadad, che dipinge in modo inquietante e degno di un thriller la vita di una giovane con un padre spacciatore, che la costringe a collaborare nei suoi affari.
La serata ha poi previsto la proiezione di altre sei opere del Concorso internazionale. Baggage, thriller prodotto dal regista iraniano Hamid Bahrami, dipinge un hotel del mistero, dove la suspense regna sovrana. I toni cupi sono anche alla base di Not yours: tragica fiction del libanese Lama Mohamad Youssef, che si ispira ad una storia vera di abusi infantili e mostra la volontà di un’anima che vuole riscattarsi. The sweetness of air, del bangladese MD. Rabbi Bhuiyan, che riporta alla ribalta il nodo (frequentatissimo in questo Short) dei conflitti armati e del loro riverberarsi sui più piccoli. Tra cui il giovanissimo protagonista che vaga per un Paese ferito da bombe e spari e attraversato da cortei invocanti (a costo della vita) pace e indipendenza. E l’apologo antibecillista risulta qui tanto più potente nella tessitura di contrasti fra ombre e luci, come quelle della lanterna con cui il ragazzino cerca nella notte la madre scomparsa. Trovandone forse un’altra nella terra finalmente liberata dalla violenza cieca degli esseri umani. Sofija Nedeljković si è invece distinta per il suo lavoro insolito e accattivante: A Step Back è un musical serbo che ha stupito per l’accostamento della musica e di colori sgargianti per presentare la vicenda difficile di una donna che viene licenziata perché incinta. La commedia Jackpot, del regista rumeno Márk Makkai, ha poi apertamente puntato il dito contro un problema sociale radicato nei Balcani: la ludopatia, che porta le persone, esattamente come il protagonista, a giocarsi la vita. L’ultimo corto della serata è stato realizzato dal polacco Michał Mieszczyk: Dancing on a cloud ha messo in scena il dolore di un uomo il cui unico sogno sarebbe quello di amare un bambino come se fosse il proprio figlio.
La penultima e ricchissima giornata di Festival si è inoltre articolata attraverso diversi programmi in nome della celebrazione del cinema. Primo fra questi il Concorso Scuole Superiori, che ha visto partecipi otto cortometraggi realizzati da studenti di scuole superiori da tutto il mondo. A seguire il Cinit Music Video Competition, che ha presentato video in cui il cinema è il mezzo per completare la musica. Il programma Lo sguardo sospeso, curato da Elisabetta Di Sopra, si è invece concentrato sulla presentazione di alcune opere di videoarte italiana. In seguito, Carlo Montanaro ha deliziato il pubblico con un lavoro sulla propria Fabbrica del vedere, casa-museo a Venezia che celebra il cinema delle origini
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