‘Laila in Haifa’, una coreografia sulla questione israelo-palestinese

‘Laila in Haifa’, una coreografia sulla questione israelo-palestinese


VENEZIA – Un film di dialogo, con unità di spazio – il club/galleria d’arte che gestisce Laila, una delle cinque donne del film Laila in Haifa di Amos Gitai, in Concorso alla Mostra. 

“Ho scoperto questo luogo grazie ad un’attrice di un film precedente e lì ho conosciuto una città mai vista prima: io sono nato ad Haifa e la amo, è una città della moderazione, in cui poter avere buoni rapporti, è un modello perché possiamo essere in contrasto ma non vogliamo uccidere. Questo club è al centro, io sono un architetto e lo spazio del club creato dal reale proprietario palestinese vicino alla ferrovia è stato pensato con l’intento di essere rifugio dalle correnti di odio del Medio Oriente”, spiega il regista. 

È un film che centra il dialogo sulla differenza tra ciò che “accade dentro (al locale) e cosa fuori”: l’autore, scegliendo una messa in scena e un impianto quasi teatrali, conta sulla parola che porta tematiche come sentimento, religione, politica. “Lo stile non voglio definirlo: a me piacciono le forme ibride. La realtà sta diventando così ibrida che la realtà deve creare dialoghi. Oggi dobbiamo essere consapevoli della modernità, in equilibrio tra frammenti di teatro, documentario, cinema. E così gli incontri occasionali del film devono essere integrati come parametro. Il nostro film può esistere solo come gli incontri reali, così come il cinema che questo Festival mostra dal vivo. Il club del film esiste davvero, è un luogo di incontro fisico al di là delle violenze di questo luogo: quando Barbera mi ha detto che eravamo stati selezionati siamo stati felicissimi perché la Mostra è un punto di incontro vero, come il locale. Sarei felice di annunciare l’eterna pace di questi territori, ma non ne ho il potere: il cinema può indurre le persone ad una buona riflessione, le arti hanno un impatto, come Guernica di Picasso, che dispiacendosi del bombardamento lo dipinse; il dipinto non cambia immediatamente le cose, ma un anno fa il primo ministro socialista in Spagna ha rimosso Franco dal mausoleo, e questo dimostra il ruolo degli artisti, preservare la memoria. È possibile ci siano rapporti civili in Medio Oriente, allontanandoci dai punti di vista razzisti, ma con l’arte non controlliamo gli atti politici. Non cambierà nulla mostrare questo film ma manterrà la memoria: credo che questo sia il luogo in cui l’arte ha l’opportunità di promuovere un progetto come un microcosmo, aspettare i politici comporta una lunga attesa… Con il cinema possiamo dare l’idea che i piccoli gesti umani possano erodere le ostilità”, continua Gitai. 

Con lui una parte femminile del coro d’attori di Laila in Haifa, tra cui Naama Preis (nel film, la sorella dell’artista): “Per me è ‘la seconda volta’ con Amos, c’eravamo conosciuti al casting del film su Rabin, e sono stata questa volta emozionata di ottenere la parte: ho lavorato per la prima volta con una persona che sa guardare così gli spazi; io ho studiato danza e a me è parso stessimo creando una coreografia tra noi attori, Amos e le macchina da presa”, una sensazione sostenuta anche da Maria Zreik (Laila): “Per me un’esperienza arricchente, una sfida lavorare con Gitai, che ha una visione unica e chiara di quello che vuole ottenere. Amos ci ha dato l’opportunità di esprimerci in modo individuale: era quasi un ballo, una coreografia”.  

08 Settembre 2020

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