La storia del cammello che piange


The story of the weeping camelCandidato all’Oscar e ai Golden Globe, La storia del cammello che piange di Luigi Falorni e Byambasuren Davaa arriva nelle sale italiane venerdì 27 maggio grazie a Fandango Distribuzione e inaugura stasera alle 21.00 Alice nella città , il festival per ragazzi che si svolge fino al 30 maggio alla Sala Petrassi dell’Auditorium di Roma.

È la storia del rifiuto, dell’abbandono, della perdita dell’amore e del ricongiungimento finale che interessa due famiglie nomadi, una umana e una animale, del deserto del Gobi, nel Sud della Mongolia. Sotto le cure amorevoli della famiglia di pastori, la cammella Ingen Temee, dopo un travaglio molto sofferto durato tre giorni, dà alla vita un bellissimo cucciolo albino.

 

Per le sofferenze patite o chissà per quale altro motivo contrario al suo istinto materno, lo rifiuta, fino a fargli rischiare la vita per mancanza di nutrimento. Sarà la melodia di un violinista che i più piccoli della famiglia nomade, Dude e Ugna, sono andati a cercare in un insediamento “civilizzato” del deserto, a convincere la mamma cammella ad accogliere e allattare finalmente il piccolo, dopo un commovente pianto.

 

Il film documentario, già uscito negli Stati Uniti nel giugno 2004, è stato distribuito in 70 Paesi ed è passato con successo in moltissimi festival internazionali tra cui Toronto, Rotterdam, Buenos Aires.

 

“La mia opera è un documentario narrativo – racconta Luigi Falorni – basato su un rituale, chiamato “Hoos”, che realmente i pastori del deserto del Gobi attuano per riavvicinare le madri ai loro cuccioli. È una storia dal valore universale, che parla anche della solidarietà in famiglia, e tra famiglie, che purtroppo nel mondo occidentale si sta perdendo e che invece resiste in una dimensione ‘tribale’ come quella rappresentata. Lì la famiglia è molto unita e compatta, determinata nel risolvere i problemi del singolo grazie al gruppo, anche quando il singolo è il piccolo di uno dei cammelli del branco”.

L’attenzione è concentrata anche sui “cuccioli” della famiglia nomade, che si avventurano da soli nel deserto per cercare il musicista taumaturgo. Il più piccolo, Ugna, rimane affascinato da ciò che vede nell’insediamento: le motociclette, la TV, il gelato, i videogiochi e i vestiti “alla occidentale”, ben diversi da quelli che indossa lui.

 

“Per Ugna è un incontro con un mondo seducente e sconosciuto, isolato com’è con la sua famiglia per gran parte dell’anno – continua Falorni – tant’è vero che la prima cosa che chiede al padre, al suo ritorno, è di acquistare un televisore. Questo è un segnale del fatto che il modo di vita rurale che si pratica in questi luoghi sta subendo le prime contaminazioni della modernità civilizzata. Con l’arrivo nelle loro tende della televisione il bisnonno, che raccontava ai bambini le storie tradizionali della loro cultura, perde la propria funzione”.

La storia del cammello che piange è un film straordinario per diversi motivi: per la capacità di raccontare una storia particolarissima in una zona del mondo difficile e isolata, in mezzo a tempeste di sabbia e di neve; per il successo enorme che ha ottenuto in giro per il mondo; per l’attenzione che ha saputo indurre nei confronti di una forma documentaria che potrebbe facilmente apparire ostica.

 

“Negli ultimi due-tre anni – spiega il regista – si sta scoprendo che il documentario è capace di intrattenere il pubblico cinematografico, anche a prescindere dall’interesse che lo spettatore possa avere per il tema specifico che esplora. Circa un anno fa, quando il mio film è uscito negli Stati Uniti, contemporaneamente c’erano in sala 7 o 8 documentari: è una rinascita eccezionale e molto positiva che molti imputano al fatto che nell’era Bush i media non diano un’informazione adeguata e che la loro funzione possa venire assolta dal cinema del reale, che ha il valore aggiunto di poter approfondire le questioni meglio dei notiziari”.

 

Il film di Falorni, che uscirà in Italia in 15-20 copie (un grosso numero per un documentario), ha avuto una lavorazione travagliata durata sette settimane, continuamente messa in pericolo dalle incognite legate al luogo e alla storia, come la possibilità che – seppur in una mandria in cui partorivano contemporaneamente venti cammelle – non si verificasse il rifiuto di una delle madri e il suo pianto, poetico e liberatorio, nel momento del ricongiungimento provocato dal rituale musicale. Il risultato è una storia forte e dal grandissimo potere evocativo, che prescinde da qualsiasi riferimento geografico ed è compresa in ogni parte del mondo.

23 Maggio 2005

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