VENEZIA – Perché Micheal Mann – 80 anni – ha deciso di raccontare Enzo Ferrari? Perché è “una storia profondamente umana. È un personaggio dinamico: più entriamo nelle profondità dell’uomo, più diventa universale: molti suoi aspetti sono in opposizione, è melodrammatico, profondo” e entrare nella dimensione emiliana di questa biografia è stato “come il lavoro di un antropologo, di immersione nel luogo e con le persone: per avvicinarsi ai valori, alla struttura della società. Lì c’è ancora la sedia del barbiere di Enzo; la sua casa; tutti i luoghi della sua vita, uno spazio compresso che ha rappresentato l’esistenza. Così avevo deciso anche il fatto di parlare un inglese americano con accento italiano. Ma la parte più eccitante era quella che aveva a che fare con la psicologia”.
Per portare Ferrari sullo schermo – in Concorso alla Mostra – concedendo ampio respiro al profilo intimo e personale dell’uomo, che corre in parallelo a quello dell’ex pilota, ora uomo d’affari impegnato nelle corse, Mann ha scelto un tempo preciso, il 1957 – anno capitale per questo spaccato di storia biografica – perché “molti dei conflitti della sua vita collidono; i problemi con l’azienda, il lutto per il figlio Dino; tutto quello che ha a che vedere col futuro arriva ad un punto di svolta, questi sono conflitti universali: la perdita, l’amore, l’ambizione; tutto viene compresso nella vita di Ferrari in modo melodrammatico”, per il regista americano.
E, per dare vita sullo schermo a “Enzo”, come si riferisce a lui lo stesso Mann, ha scelto Adam Driver, che racconta il suo personaggio come “una persona spronata dal lutto – sì quello del figlio, ma anche di alcuni compagni di gara prima e di alcuni piloti delle sue macchine adesso, come nella storica tragedia di Guidizzolo (ndr). Per me era importante capire la mentalità di un pilota di quegli anni. Lui era anche un personaggio istintivo: è abituato a prendere decisioni da solo e sa creare barriere emotive anche per mantenere la concentrazione”. Driver non è nuovo a impersonare figure della società italiana, così è stato con Maurizio Gucci (nel film House of Gucci di Ridley Scott) e l’attore spiega come per questo “il luogo è importante: per vedere l’azienda, sentire il rombo dei motori, per capire una cultura diversa. Sei obbligato a essere empatico con qualcuno molto diverso da te, e bisogna considerare la vita con una certa prospettiva. Sarebbe più difficile farlo non calati nel luogo: abbiamo girato a Modena, potendo respirare il simbolo, il nome, l’azienda; assorbire la cultura è fondamentale e nel film c’è la mentalità modenese”.
Il Ferrari di Mann ha un marcato tratto intimo, personale, che soprattutto si sviluppa abbracciato da tre figure femminili: la moglie e socia d’azienda Laura (Penélope Cruz), la madre (Daniela Piperno) e Lina Lardi (Shailene Woodley), “amante” e amata, mamma del bambino Piero, che però vive fuorimano dalla città e non porta il cognome del papà. Per la nostra Piperno, “lavorare con Michael Mann è stato come danzare con Nureyev: lui ti prende per mano, ti fidi e sei felice.Il personaggio mi è piaciuto moltissimo, è bitchy come si dice in inglese, insomma non proprio simpatica: una scelta audace; è così odiosa che fa ridere; lei è una donna straziata dal dolore – per la perdita del marito, e dell’altro figlio, prediletto – e scatena la frustrazione su Enzo, è tremenda da far ridere. E racconta l’ambivalenza di cui siamo fatti, con verità”.
Se un gineceo accerchia Ferrari “a casa” – non senza creare tensioni, strappi, compromessi, delusioni, aspettative -, il mondo dell’azienda è tutto al maschile, tranne per la parte societaria condivisa con Laura, controllore, bilancia e ago di un certo andamento, come altrettanto maschile è l’universo delle corse e qui Mann punta soprattutto sull’episodio storico di una Mille Miglia – vinta da Piero Taruffi, vincitore con una Ferrari della XXIV edizione del ‘57, e interpretato da Patrick Dempsey, anche lui al Lido ad accompagnare il film: “ho letto la sceneggiatura diversi anni fa e conoscevo la storia dal libro di Broke Yates: mi ha sempre affascinato la storia dello sport di quel periodo. Io questo film l’ho cercato perché volevo una parte: ho contattato Michael Mann e ho chiesto ‘è vero che parte questo film? Posso partecipare?’. E dopo un mese lui mi ha proposto il ruolo di Piero. È anche una storia molto romantica”, che ha comportato, inoltre, il confronto con la guida storica, per l’attore esperienza di “grande paura ma il cambio è meraviglioso: abbiamo fatto sequenze di gara esilaranti, però mi ha fatto sentire il rischio che affrontavano in quegli anni. Ci si trova in uno spazio diverso, quasi trascendentale, difficile da non vivere: per tutti gli sport in cui bisogna essere così concentrati c’è qualcosa simile alla religione, qualcosa di difficile da spiegare, quasi magico”. Mann aggiunge: “anch’io ho gareggiato in passato, non da professionista, e ci si concentra su una cosa, e questo dà agitazione: volevo che lo spettatore la sentisse e tutto questo ha influenzato poi come abbia girato e tutto il resto”. Inoltre, precisa: “è il suono vero di quelle macchine, come la monoposto Maserati, macchina storica. Il suono è originale, minaccioso ma bellissimo”.
Nel film, nel mondo dell’azienda e delle corse, Mann mette in scena anche l’opposizione conosciuta tra Ferrari e Maserati, il conflitto: “entrambi affrontano un quasi fallimento; ma Enzo guidava macchine prima e voleva vincere poi: tutto quello che succede in azienda è a supporto delle gare; per Maserati è un’altra storia, lì si alterna la governance. La cosa che mi affascina del conflitto è che – oltre alle loro – lì c’erano anche tante altre aziende: nella città la vita di tutti gravitava intorno a queste rivalità”.
Ferrari è un film americano, pertanto la questione d’attualità dello sciopero non viene tralasciata e un punto di vista unanime unisce Adam Driver e Micheal Mann, per cui: “è importante essere solidali: incoraggiamo per i negoziati tra i membri e i sindacati; vediamo un approccio disponibile da parte di tutti. Questo film non sarebbe stato accettato da un grande studio, non saremmo qui”, parole a cui fa eco l’attore: “sono qui per dare il mio appoggio a questo film; l’accordo, che consente ai film indipendenti che possano continuare a essere fatti, è un modo per cercare di tamponare un po’ le cose; ci sono accordi interni concordati e questo dimostra la possibilità di trattare, e io sono qui solidale e a dimostrare che le cose dipendono da ‘con chi’ si faccia il film. Ho pensato fosse importante essere qui per rappresentare il mio sindacato”.
Ferrari – che al montaggio porta il nome di Pietro Scalia, premio Oscar (leggi qui la nostra intervista) – è prodotto da STX Entertainment, è un’esclusiva per l’Italia di Leone Film Group in collaborazione con Rai Cinema, e uscirà al cinema con 01 Distribution il prossimo autunno.
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