La guerra irrompe a Cannes con il discorso di Zelensky

La storia fa irruzione al festival con il discorso del presidente dell'Ucraina Volodymyr Zelensky in collegamento con il Palais nella serata di apertura


CANNES – E’ uno di quei momenti topici in cui la storia fa irruzione in un festival di cinema quello in cui il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky fa la sua apparizione sullo schermo del Palais, davanti a una platea di attori e registi (tra questi Marco Bellocchio, Fabrizio Gifuni, Toni Servillo, Jasmine Trinca e Valeria Golino).

Frémaux l’aveva promesso, il conflitto sarà presente e lo ha ribadito il presidente della giuria Vincent Lindon, assicurando tutti, in un discorso caldo ed emozionato che ha preferito leggere “perché altrimenti mi mancherebbero le parole” che questa sarà un’edizione “dignitosa e rispettosa di questi tempi di guerra”, quindi anche l’attore superimpegnato Forest Whitaker, ritirando la Palma d’oro onoraria, ha sottolineato che “i registi ci aiutano a dare un senso a questo mondo”.

Ma quando l’attrice Virginie Efira, conduttrice della cerimonia, ha annunciato il collegamento con il presidente Zelensky è stata una sorpresa per tutti, un momento potente che ha acceso gli animi di solidarietà conquistandosi una standing ovation. Il presidente non perde occasione di fare appello al mondo a favore della resistenza contro la Russia e l’immensa platea del festival è sembrata irrinunciabile. Zelensky non ha parlato solo delle sofferenze del suo popolo, delle tragedie in corso a Mariupol, ma si è rivolto proprio al mondo del cinema, ai cineasti e li ha chiamati in causa direttamente, citando anche Il grande dittatore di Chaplin come esempio di resistenza al nazismo. Ha parlato del regista Mantas Kvedaravicius, morto in Ucraina (il suo documentario Mariupolis 2 è stato terminato dalla compagna Hanna Bilobrova e sarà presentato qui al festival in una proiezione speciale) a dimostrazione, ha detto, “che l’inferno è l’inferno”. Ma soprattutto ha chiesto al cinema di “non restare muto”.

“L’odio alla fine scomparirà e i dittatori moriranno. Siamo in guerra per la libertà”, ha detto Zelensky facendo appunto riferimento al capolavoro di Chaplin, parodia di Hitler e appello alla pace. “Serve un nuovo Chaplin che dimostri che il cinema di oggi non è muto. Noi continueremo a lottare, perché non abbiamo altra scelta e sono convinto che il dittatore perderà. Ma il cinema starà zitto o parlerà? Il cinema può stare fuori da questo?”. Zelensky ha usato anche la celebre frase di Apocalypse Now di Coppola: “Mi piace l’odore del napalm al mattino”.

Non da meno per passione e impegno è stato il discorso di Vincent Lindon: “I tormenti del mondo, che sanguina, soffre, brucia… in Ucraina, ma anche nelle dimenticate guerre nello Yemen e nel Darfur, mi bruciano la coscienza”, ha detto l’attore francese, ricordando che il Festival di Cannes “fu fondato per reazione al fascismo”. Forest Whitaker, accolto da un applauso lunghissimo, inarrestabile, ha affermato: “Ci vorrà molto tempo per superare i traumi degli ultimi anni, della pandemia e della guerra in corso. Il cinema, i registi ci aiutano a dare un senso a questo mondo. Attraverso il cinema un regista condivide i suoi sogni e questi possono diventare reali, ma tutte le nostre vite sono cambiate in questi anni”, ha detto Whitaker, che ha anche una fondazione umanitaria a suo nome ed è produttore di un documentario sulla speranza di pace in Sud Sudan.

Insomma, una serata di grande emozione e solidarietà, conclusa in tutt’altro tono con lo zombie movie di Michel Hazanavicius Coupez! con Romain Duris e Berenice Bejo dove il sangue (finto, fintissimo) abbonda a profusione e un po’ stona. In fondo è il destino di questo puro divertissement, remake del campione d’incassi giapponese di Shinichiro Ueda Zombie contro zombie (2017), quello di intrecciarsi involontariamente con la guerra in corso, a partire dal titolo Comme Z, cambiato in corsa per evitare ogni riferimento alla “Z” che appare sui carri armati russi in Ucraina.

Classico cinema nel cinema con una troupe cinematografica che sta girando un horror scadente e veloce per conto di una rigida produttrice giapponese, in una grande fabbrica abbandonata. Con il metodo del piano sequenza e non senza una serie di incidenti di percorso, un regista ambizioso ma di scarso talento e oltretutto antigiapponese (Romain Duris) dirige, tra gli altri, anche sua moglie Nadia (Berenice Bejo, moglie e musa del regista) appassionata di Krav Maga e pronta a menare le mani per davvero. Le gag slapstick, le battute, le ripetizioni ad arte e i cortocircuiti tra falso e falso all’ennesima potenza si moltiplicano in un gioco in cui Hazanavicius, premio Oscar per The Artist, travasa il suo eclettismo e un amore per il cinema di genere condiviso da molti cinefili, che infatti hanno applaudito generosamente. 

17 Maggio 2022

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