La libertà, vocabolo singolare femminile…, consolida la propria essenza grammaticale assurgendo a valore imprescindibile dell’essere umano, sia esso donna o uomo, (anche) in date simbolo come l’8 marzo – Giornata internazionale dei diritti della donna, ricorrenza annuale per ricordare le conquiste sociali, politiche e economiche, ma anche le discriminazioni e le violenze, storiche e contemporanee.
Senza addentrarsi nella “Feminist Film Theory”, anche il cinema si conferma di certo strumento sensibile e pop per corroborare il concetto e lo stato di autonomia, il diritto reso tale dalla volontà e dalla coscienza di ordine morale, sociale, politico, ovvero la libertà, la libera scelta degli scopi e dei mezzi, capace di prendere la forma del film in più di un’occasione e in più di un tempo e di una latitudine nella Storia del cinema e qui, senza sfumare l’essere prezioso di storie come Thelma e Louise o Erin Brockovich, Lezioni di piano o Suffragette, appuntiamo in sintesi la pluralità del concetto di libertà al femminile sul grande schermo, con 8 titoli:
la Miss Marx (2020) di Susanna Nicchiarelli è Eleanor Marx, figlia di Karl, pioniera del femminismo e del socialismo; di certo persona libera e colta, nonché appassionata. Ma se nella vita pubblica lucidità e determinazione la guidano senza se e senza ma, non succede altrettanto nella vita personale, seppur il ritratto dell’erede effettiva del pensiero paterno sia qui espresso con un coraggioso spirito rock che tende sempre all’affermazione del concetto di libertà. Il film – in Concorso alla 77ma Mostra di Venezia – è stato candidato a 11 David di Donatello, premiando produttore, costumista e compositore; inoltre: Nastro d’argento dell’Anno.
Sempre restando da noi: Speriamo che sia femmina (1986) di Mario Monicelli. Un gineceo famigliare, in cui lo spirito volitivo femminile, il senso di appartenenza ma anche la fame di curiosità e libertà, trasversale all’età di ciascuna, mette l’argento vivo sul racconto portato sulle spalle solidissime di un cast – Liv Ullmann, Catherine Deneuve, Giuliana De Sio, Stefania Sandrelli, Lucrezia Lante della Rovere, Athina Cenci, Philippe Noiret, Giuliano Gemma, Bernard Blier, Paolo Hendel, Mario Cecchi, Riccardo Diana, Enio Drovandi – che contrappone l’elemento femminile a quello maschile, dove lo sparuto “sesso forte” è sinonimo di cialtroni, deboli di mente e “bischeri”. Sin dal titolo, il film esprime la speranza delle donne, soggetto solo in apparenza fragile, invece determinato e consapevole della propria superiorità morale e fisica, nonché della propria libertà, un po’ come se Monicelli avesse voluto dire: “Speriamo che il mondo sia un po’ più femmina”. Una pioggia di premi, tra cui 7 David di Donatello e 3 Nastri d’argento.
Sono poi ritratti realistici a tener affrancati al tema della libertà femminile al cinema, così è per la Frida (2002) di Julie Taymor come la Marjane animata di Persepolis (2007) di Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud. Nel film sulla pittrice messicana, interpretata da Salma Hayek, l’artista soffre, precipita anche nel tormento, ma in fondo non perde mai la zampata vitale verso la vita e l’affermazione di sé donna, prima ancora che dell’autrice d’arte. Si passa da sequenze dallo spirito colorato a passi di disperazione, insomma la messa in scena dell’essenza della vita, ma questa vita, quella di Frida Kahlo, non smetta mai – nemmeno nei momenti di basso più profondo – di essere guerriera e eroina della libertà espressiva e morale. Le candidature agli Oscar 2003 sono state 6, le Statuette conquistate quelle per Miglior Trucco e Miglior Colonna Sonora.
La bambina di Persepolis – Nomination all’Oscar come Miglior Film d’Animazione 2008 e Premio della Giuria a Cannes 2007 -, autrice del fumetto prima, co-regista del film poi, è Marjane Satrapi stessa, che ha scritto il suo romanzo di formazione, sul principio della Rivoluzione iraniana, mostrando attraverso i suoi nove anni, inizialmente, le speranze di cambiamento infrante dal potere conquistato dai fondamentalisti islamici, che hanno costretto le donne a coprirsi il capo, stringendo in una morsa di ulteriormente soffocamento la libertà, oltre alla messa in prigionia di migliaia di persone. Ma Marjane non c’è stata nella vita e non ci sta nel film, che infatti si conclude con lei, ventiduenne, che espatria: una scelta di dolore e di libertà.
Nell’Inghilterra del XVIII secolo La favorita (2018) di Yorgos Lanthimos, in una sfera nettamente patriarcale, mette a segno ironia e astuzia, addirittura nichilismo. L’autore greco mette in scena la condizione femminile offrendo la fotografia di una via crucis laica per la libertà della donna: l’unica figura femminile che conta è la regina Anna (Olivia Colman), non senza però essere sottratta alle dinamiche del potere maschile; per questo il film esprime la libertà, quella mancata, quella soffocata, ne offre una apparente, surrogata, formalmente inattaccabile ma concretamente orrida nella negazione sostanziale della stessa, e praticata dalla sovrana nel capriccio o nel ricorrente sbalzo d’umore, espressioni della prigionia femminile dentro il peggior luogo comune di se stessa.
Un altro cast quasi tutto al femminile – Emma Stone,Viola Davis, Jessica Chastain,Octavia Spencer tra le altre – per The Help (2011) di Tate Taylor: è certamente un film sul tema del razzismo, che non è un’opinione e di cui nessuno deve essere più vittima, ma l’azione scava nel peccato originale americano, trascinato dallo splendente soggetto femminile, che si fa portabandiera del concetto di libertà dell’individuo. Vive nella tempra delle donne, che sono le colonne di questa storia, la tensione verso l’autodeterminazione e la scelta è sinonimo di libertà, come condizione ed esperienza, che si palesa nel travaglio della coscienza. Octavia Spencer come Miglior Attrice Non Protagonista ha vinto un Oscar, un Golden Globe e un BAFTA Award.
Sin dalla trama, Ritratto di Signora (1996) di Jane Campion si fa alfiere del concetto di libertà femminile, infatti Isabel Archer (Nicole Kidman), fanciulla americana che vive in Inghilterra, si oppone a una vantaggiosa proposta di matrimonio, seguendo la propria priorità, ovvero la curiosità di conoscere e fare esperienze: vuole incontrare il mondo. La scelta scandalizza la famiglia, tranne il cugino Ralph, che si schiera dalla sua parte e riesce a convincere suo padre a lasciarle una parte dell’eredità. C’è strazio, c’è tensione e c’è crudeltà, tutte parole e concetti densi di libertà, infine.
Un romanzo epistolare che poggia sull’amore tra due sorelle di colore (Whoopi Goldberg e Akosua Busia) e sui loro antipodali destini: Il colore viola (1985) di Steven Spielberg, liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Alice Walker, e cromia che evoca spiritualità, fascinazione erotica, unione degli opposti, è un film incentrato su personaggi femminili, con una dura panoramica che abbraccia violenza domestica, abusi sessuali, incesto, razzismo ma anche coraggio, che fa rima con libertà, delle donne violentate. Nessun premio Oscar vinto, in relazione alle Nomination ottenute: 11, ma tra le candidature non figurava Steven Spielberg come regista; premiata con il Golden Globe la Goldberg come Miglior Attrice Non Protagonista.
Dulcis in fundo, da oggi nelle sale, l’opera prima italiana Primadonna (leggi l’articolo).
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Netflix diffonde i dati su diversity e gender equality che rappresentano un fiore all'occhiello per la società impegnata sul fronte della formazione di nuovi talenti anche in Italia, in collaborazione con il David di Donatello
Capri Entertainment dà riscontro alla nota divulgata l'8 marzo dal legale: “Il film non è mai stato né promosso né distribuito come ‘la storia di Franca Viola’ e non c’è nessun elemento riconducibile alla vita personale della signora”
Il legale aveva diffidato dal fare riferimento alla vicenda reale, la produzione ha cambiato nomi e specifiche esplicite, ma “il riferimento al nome della signora Franca Viola è prepotentemente ripetuto nelle iniziative che promuovono il film”, sostiene lui