Una location mozzafiato ma scomodissima, immersa tra i ghiacci di Park City, stazione sciistica di 8mila anime che ogni anno, per dieci giorni, esplode di SUV, star, produttori, distributori, giornalisti e pubblico pagante. 50mila persone che sciamano tra cinema, feste e appuntamenti di lavoro sparsi tra hotel e resort collegati da navette affollatissime.
A Park City durante il Sundance gli insegnanti e i postini si improvvisano tassisti (turni massacranti di 22 ore e guadagno fino a 10mila dollari in meno di due settimane), gli autisti degli autobus si trasformano in guide per turisti a caccia di celebrities e chi può va in vacanza e affitta casa a prezzi astronomici.
Da oggi però a Park City tutto è tornato alla normalità, sono rimasti solo gli ultimi tecnici impegnati a smontare e portar via le attrezzature. Ma soprattutto rimangono i premi, i film e le acquisizioni che li faranno viaggiare oltre le montagne dello Utah. L’Italia, in concorso con Riprendimi di Anna Negri, è rimasta a bocca asciutta nella serata di premiazione ma il film ha guadagnato l’apprezzamento di diversi critici per il punto di vista femminile e l’ironia nella messa in scena di coppie trentenni precarie e scoppiate.
Le giurie (Quentin Tarantino è stato il mattatore della cerimonia finale con i ricordi sui premi mancati a Le iene) hanno premiato pellicole americane che riflettono le paure per la crisi economica. La fiction Frozen River dell’esordiente Courtney Hunt è la storia di due donne working class che entrano nel business dell’immigrazione illegale; il documentario Trouble the Water dei registi Tia Lessin and Carl Deal, torna a New Orleans e racconta la storia di una coppia di sopravvissuti all’uragano Katrina.
Due titoli europei, lo svedese King of Ping Pong di Jens Jonsson, e il documentario Man on Wire di James Marsh hanno vinto le competizioni internazionali.
Il Sundance 2008 è stato l’anno degli esordienti (11 dei premiati sono registi al primo lungometraggio) e di quello che il ‘New York Times’ ha chiamato il “nuovo realismo americano”. La critica Manohla Dargis ha parlato di “affinità stilistiche” e di alcune influenze comuni, prima tra tutte i fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, a proposito di film come Sugar di Anna Boden e Ryan Fleck, storia di un aspirante star di baseball dominicana, e Ballast di Lance Hammer, filmmaker paragonato anche a Terrence Malick e David Gordon Green. Ballst sarà alla Berlinale nelle prossime settimane insieme a un’altra manciata di titoli del Sundance: Be Kind Rewind, il nuovo film di Michel Gondry con Mia Farrow, Danny Glover e Jack Black, Derek, ritratto di Jarman firmato da Isaac Julien e narrato da Tilda Swinton e Green Porno, i corti di Isabella Rossellini.
Deluse le previsioni di chi parlava di boom del mercato di Park City sulla scia dello sciopero degli sceneggiatori hollywoodiani. La corsa agli acquisti è stata piuttosto contenuta. Dopo il Sundance, l’industria americana guarda a Berlino e agli Oscar. Se la cerimonia è ancora in forse per il boicottaggio degli sceneggiatori e delle star solidali, cominciano ad emergere i favoriti: ieri No Country For Old Man dei fratelli Cohen ha vinto i Screen Actors Guild awards. Pochi giorni fa sempre i Coen hanno fatto la parte del leone ai Directors Guild Awards. Entrambi i premi sono considerati valide anticipazioni delle scelte dell’Academy.
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