‘Il Nibbio’, 20 anni dopo Nicola Calipari è uno straordinario Santamaria

Il potente film di Alessandro Tonda scritto da Sandro Petraglia emoziona e commuove, restituendo la figura e l’etica del dirigente Sismi ucciso dal ‘fuoco amico’ a Baghdad dopo aver liberato Giuliana Sgrena. Con Sonia Bergamasco e Anna Ferzetti, in sala dal 6 marzo


“Io considero ogni sequestro come un episodio di guerra. E tutte le volte cerco due cose: liberare l’ostaggio e fare un piccolo passo che ci avvicini alla fine della guerra”.

Non è un caso che siano proprio queste parole, pronunciate in una scena de Il Nibbio da Claudio Santamaria (nel film Nicola Calipari, il vicedirettore operativo del Sismi ucciso a Baghdad il 4 marzo 2005) ad aprirne anche il trailer. Solo dopo aver visto il film, infatti, risulta chiaro come rappresentino al meglio la logica cristallina, decisamente impopolare nel suo ambiente, che stando alla documentata ricostruzione degli autori contraddistingueva la modalità di operare dell’alto dirigente del Servizio Segreto militare italiano in ognuno dei delicati teatri di guerra che lo vedevano impegnato: la mediazione e lo scambio come unica strada per non mettere a rischio la vita umana, e possibilmente anche per iniziare a disegnare nuovi orizzonti di pace. La stessa logica che seguì nell’esporsi in prima persona, per 28 lunghissimi giorni, tentando ogni mossa strategica con tutti i possibili interlocutori mediorientali al fine di ottenere la liberazione della giornalista italiana Giuliana Sgrena (Sonia Bergamasco), rapita il 4 febbraio del 2005 nell’Iraq occupato dagli Stati Uniti, da un gruppo che si era definito ‘Organizzazione del jihad islamico’.

Il Nibbio, diretto da Alessandro Tonda e presentato in anteprima alla stampa all’Auditorium Parco della Musica di Roma, arriva al cinema il 6 marzo prossimo, a vent’anni esatti dalla morte di Nicola Calipari: per rendere omaggio alla sua figura, dicono autori e cast, ma al tempo stesso anche per riportare l’attenzione su un episodio tragico della recente storia italiana sul quale non è mai stata fatta giustizia. Nel parterre, moderato dal critico cinematografico Enrico Magrelli, accanto al regista ci sono lo sceneggiatore Sandro Petraglia e i protagonisti: Claudio Santamaria, Sonia Bergamasco e Anna Ferzetti, che nel film interpreta Rosa Villecco Calipari, la moglie dell’agente del Sismi, più volte ringraziata dal palco per il prezioso contribuito alla descrizione più autentica della sua personalità. Due giorni prima dell’uscita in sala, martedì 4 marzo, nello stesso Auditorium, è prevista invece l’anteprima istituzionale del film, alla presenza del cast al completo e del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

“Per me è stata una grandissima responsabilità, ho accettato per una spinta emotiva”, chiarisce Alessandro Tonda. “Volevo fare un film di genere, una spy story, ma senza scimmiottare i film d’oltreoceano, e neppure approfondire il contesto geopolitico. Calipari non era un supereroe della Marvel, ma un uomo comune votato alla pace, alla giustizia, al senso dello Stato e al bene comune. La sua figura non era conosciuta. Non stava sotto i riflettori, anche per il ruolo che ricopriva. Abbiamo voluto raccontarlo, e raccontare un avvenimento importante per la nostra storia, concentrandoci solo sui ventotto giorni precedenti i tragici eventi del 4 marzo del 2005.”

 

28 giorni in 108 minuti, al cardiopalma

È il tempo che passa dal momento in cui l’inviata de ‘il manifesto’ viene rapita a Baghdad e quello del suo rilascio, un mese dopo, che coincide con quello della morte del suo ‘liberatore’: 28 giorni concentrati nei 108 minuti di un film che ti tiene stretto in una morsa lo stomaco dal primo all’ultimo fotogramma, anche se (o forse proprio perché) purtroppo si sa già come va a finire la storia a cui si ispira.

La scelta narrativa, tuttavia, si è già detto non essere quella del film – inchiesta. Per raccontare quel drammatico mese di storia recente, che molti di noi ricordano come fosse ieri, gli autori scelgono piuttosto tre registri paralleli, che puntano a mettere in luce il lato più intimo e umano dei protagonisti: da un lato quello che segue la prigionia di Giuliana Sgrena; dall’altro quello della figura di Calipari sul campo, nella complessa mediazione, tentata e infine faticosamente ottenuta, tra non poche interferenze; dall’altro ancora, l’ambito di Calipari in famiglia, tenero e allegro nella complicità totale con la moglie e i figli, che lo adorano. Attraverso queste tre strade, che si alternano scena dopo scena, il film scorre scandendo il suo giusto ritmo al respiro della colonna sonora (firmata da Paolo Vivaldi), portando lo spettatore dall’ansia alla tenerezza, dalla rabbia alla commozione, grazie alle eccellenti interpretazioni di Sonia Bergamasco, Anna Ferzetti e Claudio Santamaria, che in questo ruolo supera se stesso. Fino al tragico epilogo della storia: Giuliana Sgrena, alias Sonia Bergamasco, viene direttamente – e fisicamente – liberata il 4 marzo 2005 da Nicola Calipari- Santamaria, che ha chiuso la mediazione con i sequestratori e la sta riportando a casa. Subito dopo la liberazione, però, la sua auto con a bordo Sgrena si imbatte in un check point americano, che apre inspiegabilmente il fuoco: Calipari è colpito a morte da una raffica di mitragliatrice, mentre con il suo corpo fa scudo alla giornalista, a pochi chilometri dall’aeroporto dove li attende il velivolo che li avrebbe dovuti riportare in Italia.

Sandro Petraglia: stavolta volevo scrivere un film su un personaggio etico

“Sulla vicenda di Calipari non esisteva molta documentazione, spiega Petraglia, uno degli sceneggiatori più premiati della storia dell’audiovisivo italiano, che ha scritto Il Nibbio in collaborazione con Lorenzo Bagnatori. “Ho iniziato leggendo il libro dell’allora direttore del Manifesto Gabriele Polo, Il mese più lungo. Dal sequestro Sgrena all’omicidio Calipari: lui lo aveva conosciuto e stimato, pur venendo da un mondo opposto. Poi Fuoco amico, il racconto di Giuliana Sgrena. Ma ho pensato che non potevo fare questo film se non riuscivo a parlare con la moglie, con la famiglia. Quindi la prima cosa è stata incontrare Rosa Calipari, cercare di capire con lei come si poteva raccontare questa storia. Avevo bisogno di conoscere non tanto i fatti, ma la persona. Ho capito che questo alto dirigente dei nostri Servizi era anche pieno di ironia, un uomo senza retorica. So che a Rosa (Calipari, ndr) non piace la definizione “servitore dello Stato’, ma forse lui era proprio un esempio di come noi vorremmo che fossero le persone delle nostre istituzioni. E quindi era anche un uomo che amava la vita, i figli, il calcio, le gite in montagna… E poi il secondo passo è stato quello di conoscere da vicino Giuliana Sgrena. Non volevo fare un film politico, se quella fosse stata la chiave non lo avrei fatto. Di cinema così ne ho fatto tanto, è stato anche un po’ anche la mia dannazione: stavolta, finalmente, potevamo fare un film di genere su uno straordinario personaggio etico, come etica è la sua famiglia, non solo Nicola Calipari, ma anche Rosa, i figli. Tant’è vero che abbiamo rinunciato ad entrare nel discorso delle responsabilità sulla sua morte, perché quello sarebbe stato un secondo film”.

Perché ‘Il Nibbio’?

‘Nibbio’ non è un nome inventato dagli autori, era davvero il nome sotto copertura che Calipari stesso si era scelto, ci conferma lo sceneggiatore, che però a noi dice di non sapere altro sul motivo di tale scelta. Di certo, in una delle scene concitate per i vicoli di Baghdad (girate in Marocco), vediamo Calipari-Santamaria valutare all’ultimo momento di cambiare piano e non recarsi ad uno dei primi appuntamenti che gli vengono proposti da una delle fonti ritenute ‘fidate’: uno dei suoi collaboratori chiede perché, e l’altro risponde “è l’istinto del Nibbio!” Allora ipotizziamo che sia per questo, perché il nibbio è un uccello adattabile in ogni habitat, molto elegante, che riesce a restare del tutto immobile sbattendo le ali e, in quanto rapace, è in grado di volgere lo sguardo ad un raggio estremamente ampio – e allo stesso tempo molto preciso – per poter puntare la sua preda. O forse chissà, la ragione di quel nome sta in un lontano e personalissimo altrove che lui solo conosceva.

La forza di due donne, altro centro del film

Dalla produzione agli autori, fino a ogni singolo attore che ha partecipato al film, ognuno ci tiene molto a sottolineare quanto sia stato fondamentale conoscere le persone che andava a rappresentare. In primis Sonia Bergamasco: “Appena mi hanno proposto questo ruolo non ho avuto esitazioni”, racconta l’attrice. “Ho avuto subito la necessità e il desiderio di confrontarmi con Giuliana Sgrena, che è stata generosissima nel raccontarsi, con tutti noi e soprattutto con me. Avevo bisogno di avvicinarla, perché ho sentito da subito che era la persona, e non il personaggio che doveva essere messo in azione. Con delicatezza e un senso enorme di responsabilità”. Il film inizia proprio col suo volto, nei panni della giornalista che parla con una donna irachena a Baghdad, alla ricerca di testimonianze sui massacri compiuti sui civili in Iraq, poco prima di essere prelevata da un gruppo di uomini armati.

Lo stesso è per Anna Ferzetti: “Io rappresento la parte privata, avevo terrore di conoscere Rosa, lo ammetto. Poi l’ho incontrata, solo tre ore prima dell’inizio delle riprese: e lei mi ha accolta, dicendomi di farle tutte le domande che volevo, mi ha aperto il cuore, e mi ha raccontato delle cose fondamentali, soprattutto una: che loro due si divertivano tanto, ridevano molto. Ci deve essere davvero tanto rispetto e umiltà nell’entrare nella vita degli altri, soprattutto quando si rappresenta la loro vita privata. Ed è stato molto importante anche averla sul set, specie quando giravamo alcune scene: pensavo di andare nel panico, invece è stata lei a tranquillizzarmi”.

Claudio Santamaria, 12 chili in meno e un’interpretazione indimenticabile

Il punto di forza del film, oltre all’accuratezza della scrittura, al ritmo della regia e al fedele approfondimento di tutti i personaggi, nessuno escluso, è senza dubbio l’interpretazione di Claudio Santamaria, letteralmente trasformato per rendere il corpo, gli sguardi e l’anima ‘sottile’ di Nicola Calipari, nel lavoro come in famiglia. Un’interpretazione che con molte probabilità porterà al film altri riconoscimenti, oltre al già prestigioso Nastro della Legalità, assegnato all’opera al termine della conferenza stampa, una settimana prima dell’uscita in sala (leggi qui il nostro articolo sul Nastro).

“Ho perso 12 chili per rendere meglio la sua persona, racconta l’attore reggino. “Un uomo delle istituzioni che ha messo al centro di tutto la sacralità della vita: bisognava entrare in questa storia in punta di piedi, con una grande delicatezza e sensibilità. Come attore ho cercato di far uscire questo personaggio dall’interno, di far percepire il suo grande calore umano. Sul lavoro era uno che cercava di portare la verità e la giustizia ovunque, e di eliminare la corruzione. Pochi sanno che nel suo lavoro precedente in questura istituì un numero verde per le violenze sugli omosessuali e che aveva inventato il sistema degli appuntamenti per gli immigrati obbligando i poliziotti a dar loro del ‘lei’ per restituirgli la dignità. Era uno che sapeva cogliere le differenze della società, anziché escluderle. Sapeva cogliere la complessità. È tutto questo che lo ha portato ad assumersi il difficile ruolo del mediatore”.

 

Prima dei titoli di coda, le grafiche sullo schermo ci ricordano che nessuno è stato mai condannato per l’omicidio di Nicola Calipari. Che Mario Lozano, il militare americano che ha sparato, è stato prosciolto nel 2007 per “difetto di giurisdizione”, e che un anno dopo la Cassazione ha rigettato il ricorso della Procura di Roma. Ma come hanno spiegato gli autori, questo sarebbe un altro film.

 

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03 Marzo 2025

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