‘Il metodo Fenoglio’, per Boni e Carofiglio s’incendia il Petruzzelli

Dalla trilogia dello scrittore barese, nella sezione Fiction Fest del Bif&st, l’autore letterario e l’interprete presentano in anteprima la serie, da maggio in tv: 4 puntate su Rai Uno


BARI – Nasce e ri-nasce a Bari, città natale dello scrittore originale – Gianrico CarofiglioIl metodo Fenoglio, serie tratta dalla trilogia con protagonista il maresciallo piemontese Pietro Fenoglio, interpretato sullo schermo da Alessio Boni. Lo scorso anno, sul palco del teatro Kursaal del Bif&st s’annunciava la nascita del progetto e un anno dopo, la sezione Fiction Fest del Festival curata da Marco Spagnoli, sul grande schermo dello stesso teatro, mostra in anteprima i primi due episodi della serie – Una storia semplice e Una mutevole verità -, in onda su Rai Uno dall’8 maggio (4 puntate).  

Bari, 1991. Nelle prime sequenze il maresciallo afferma che “…la nuova rivoluzione è la pazienza”, parlando con un collega, e questa frase ben rispecchia l’animo dell’uomo, la cui pacatezza, discrezione, speciale empatia, sono proprie anche della persona di giustizia, accompagnate da un passo nobile come quello della musica classica, infatti Fenoglio è un melomane, e – laddove consentito – oggetto caratterizzante è un walkman che indossa sulle orecchie, per farsi accompagnare la vita dalla colonna sonora della Classica. 

Un altro “dato costante” di questo Fenoglio è un serpeggiare sottile, quasi silente ma costante, della sua sensibilità per il discorso figliale, per il senso della genitorialità, lui che padre (ancora, almeno) non è. 

La vicenda delle puntate – che con ricorrenza mostrano una Bari raffinata e accogliente, sia nelle panoramiche notturne che spesso sorvolano tra il mare e le luci, così come nella visione diurna -, in una sorta di continuum perenne in cui il mestiere – che Fenoglio svolge quasi costantemente accanto al collega interpretato dall’efficace Paolo Sassanelli – s’articola man mano nell’architettura del Clan Grimaldi e dove esemplificativo è uno scambio tra la compagna del carabiniere, Anna, interpretata da Giulia Bevilacqua e lui. “…perché qui non si parla di Mafia?”, domanda lei. “…perché dovrebbero ammettere che esista”, la risposta di lui. E da qui il puzzle narrativo che assembla e costruisce la vicenda professionale. 

La serie – diretta da Alessandro Casale, prodotta da Clemart con Rai Fiction – ha una geografia definita, mutuata dalla descrizione nei libri, così come la personalità visiva si afferma nella cura dell’abbigliamento e della scenografia, riverbero di interiorità dei personaggi, e peculiarità che permettono di aver la sensazione che gli Anni ’90 sembrino vicinissimi.

Fenoglio ha un’etica impeccabile all’interno di una struttura con tinte più scure e Gianrico Carofiglio con il personaggio sente di avere in comune il “lavorare per sottrazione, preferire una parola di meno che una di più mi appartiene”. Per lo scrittore: “Il merito della sensazione degli ambienti è tutto del regista e degli attori, io mi sono immaginato e ho ricordato la città, e mi ci sono ritrovato vedendola sullo schermo. La mia partecipazione alla scrittura per la serie è stata per offrire un punto di vista per me fondamentale per l’impresa di adattamento dal romanzo al film: quello che si produce deve essere diverso dallo scritto, la replica fa brutta copia, ma deve rispettare la narrativa, tra cui la plausibilità, qui al 95%. Il mio ruolo è stato: accompagnare un’operazione. Le fitte di nostalgia – nel rivedere un tempo passato realistico – sono inevitabili, come altri sentimenti: ricordare quegli anni, il fenomeno delle mafie pugliesi, mi ha prodotto un effetto straniante. La combinazione di sentimenti contraddittori è il mio modo di guardare quel tempo”, un tempo che il regista sceglie di mostrare anche usando materiale di repertorio originale, quando monta e mostra una sequenza non più realistica ma reale, quella del drammatico incendio che distrusse il Teatro Petruzzelli di Bari in quel periodo, la cui visione a Carofiglio “mette abbastanza i brividi”. 

“Ho cercato di enfatizzare. Mi è sembrato un omaggio al Petruzzelli che era, non l’ho fatto per far commuovere di più, ma mi sembrava più epico”, spiega Casale. “Ho deciso di provare a fare il mio film, anche se non è un film, portando le emozioni ricevute dal romanzo e con il senso della verosimiglianza, in cui rientra l’aver coinvolto attori baresi, un valore aggiunto”. 

Questione – quella “local” – su cui interviene Alessio Boni: “Quando c’è una cadenza linguistica, perché ‘non c’è un italiano corretto’, come diceva Pasolini, non si sente una stonatura e così l’esasperazione barese non sbava. Io sono entrato in punta di piedi nel progetto, conoscevo i romanzi di Carofiglio ma non questi tre: mi è piaciuto di Fenoglio che ami la legalità, lui non vuole trovare il colpevole ma il vero colpevole, ama tanto la poesia perché sunto della verità. Lui, con la Classica, riesce a mettere insieme i gineprai degli indizi, a trovare il bandolo della matassa, è il suo metodo: odia la violenza, il chiasso. La sua massima sarebbe incastrare un boss senza neanche estrarre l’arma dalla fondina. Il piemontese (in generale) ha un’eleganza quasi parigina, il pianto non è così facile come a Napoli: ma è cultura, non giudizio. Casale ha scritto come una partitura Blues. Questa sua ‘nota’ diversa nello spartito generale mi ha affascinato e mi ha fatto sposare subito il profilo”. 

28 Marzo 2023

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