La scuola ha da sempre ispirato film molto diversi tra loro e sempre piuttosto interessanti, forse perché è uno spaccato, in sedicesimo, della società nel suo complesso. Tra questi, di recente, anche vicende dalla colorazione thriller o comunque angosciante, come La sala professori (Das Lehrerzimmer) di İlker Çatak, che ha rappresentato la Germania agli Oscar l’anno scorso. Ora arriva Armand, in sala il 1° gennaio con Movies Inspired, diretto dal norvegese 34enne Halfdan Ullmann Tøndel (i nonni sono nientemeno che Ingmar Bergman e Liv Ullman). Caméra d’or all’ultimo festival di Cannes come miglior opera prima, premiato agli Efa e indicato per rappresentare la Norvegia agli Oscar, il film sceglie la strada del Kammerspiel con una sola scena fuori dalle mura scolastiche, che apre e chiude la narrazione: un’auto lanciata a forte velocità su una strada nel bosco con a bordo una donna che parla al telefono con Armand. Nella prima sequenza non sappiamo chi sia, nell’ultima – speculare – abbiamo scoperto la sua identità, è il piccolo figlio della protagonista, ma non abbiamo certo potuto comprendere la sua vera personalità, tanto contraddittoria e sfuggente, quanto imprevedibile e spiazzante in un bambino di quell’età.
Renate Reinsve, interprete di sicuro carisma che abbiamo visto e apprezzato in The Worst Person in The World di Joachim Trier, è qui un’attrice che ha vissuto un grave lutto familiare e sembra portarne le indelebili conseguenze. Suo figlio Armand, di sei anni, frequenta la scuola elementare ed è molto legato al compagno Jon, si vedono spesso anche nel tempo libero, giocano insieme e fanno i compiti. Ma Armand, recentemente, ha avuto comportamenti aggressivi sfociati in un preciso episodio avvenuto nei bagni di scuola. Ci sono state parole forti e violente, forse anche un assalto sessuale, due cose che sembrano totalmente fuori luogo data la tenera età. Ora i genitori di Jon e la mamma di Armand, Elisabeth, sono convocati dalle autorità scolastiche con il dichiarato intento di trovare una soluzione “pacifica”.
Inizialmente è una giovane e timida insegnante a dover gestire da sola il confronto, che assume da subito toni disturbanti e sopra le righe. Mentre Elisabeth viene accusata di girare nuda per casa, l’altra madre, Sarah (Ellen Dorrit Petersen), appare via via come una manipolatrice con un notevole conto in sospeso con l’altra donna, a cui è legata anche da una parentela. Tøndel, che annovera tra i suoi modelli nientemeno che Buñuel, costruisce un dramma a pochi personaggi (alla giovane maestra si uniscono in un secondo tempo preside e vicepreside) con aperture inattese e surreali, come la scena in cui Elisabeth è colta da una crisi di riso inarrestabile e convulso, quella in cui balla con un bidello o la resa dei conti finale, nel cortile della scuola, sotto una pioggia torrenziale. In un clima di minaccia costante – l’allarme antincendio è guasto e parte senza motivo, la vicepreside perde sangue dal naso ad ogni pie’ sospinto – non sapremo mai cosa è veramente accaduto, ma di certo attorno a Elisabeth si coagula un senso di attrazione che ne fa una preda o forse una predatrice. D’altro canto non vedremo mai i due bambini e non conosceremo mai la loro versione dei fatti, perché ai fatti si sovrappongono fin da subito le proiezioni degli adulti che hanno il sopravvento sulla verità. O come dice la protagonista: “Se ci guardate solo in superficie, vedrete solo il caos; ma se ci guardate in profondità, vedrete che siamo a posto”.
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