Ugo Fantozzi compie 90 anni il 17 luglio. “Ma mi facci il piacere” avrebbe detto il ragionier Filini, uno dei suoi amici più stretti e più ingombranti. E invece è proprio così!
Di quasi due anni più giovane del suo creatore, Paolo Villaggio, il ragioniere più scalognato della storia, secondo quanto riportato nel libro che ne consacrò la nascita (e con dato confermato dal film Fantozzi – Il ritorno), venne alla luce il 17 luglio 1934.
Da quel momento in poi la sua vita è stata una sequenza ininterrotta di vessazioni, umiliazioni, passi falsi, scelte azzardate, destino infame fino alla dipartita (sempre secondo lo stesso film) il 17 dicembre 1995. E non poteva che essere il 17 il suo numero fatale. Ripercorriamo la sua biografia aiutandoci con alcune delle sue stesse, mitiche, frasi.
Se il ragionier Ugo Fantozzi nasce a ridosso dell’inizio della seconda guerra mondiale, l’opera cinematografica che ne racconta le gesta è del 1975. La critica non lo benedice subito sull’altare del cinema di qualità, ma nel tempo la considerazione cresce e diventa unanime, fino a proiettarlo nel ristrettissimo novero dei “100 film italiani da salvare”.
Il pubblico, invece, ci vede benissimo fin dall’inizio. Lo adotta in massa: non con amore, ma con sberleffo, felice di ridere delle disgrazie altrui. Così Fantozzi scala la classifica del box office per piazzarsi al 50° posto tra i film di maggior successo nella storia del botteghino italiano, con 7.755.046 spettatori e oltre 6 miliardi d’incasso. È ovvio che una risata (anche se in quantità così abbondante) non lo seppellisce. Anzi!
Fantozzi ritorna altre 9 volte chiudendo con la decina tonda di film del franchise, non tutti del livello eccelso dei primi, ma importanti per comporre il panorama di un successo e di una esistenza “virtuale” senza precedenti.
Il protagonista Paolo Villaggio aveva già interpretato alcuni ruoli cinematografici minori, ma era ancora relativamente sconosciuto quando divenne un bestseller (da oltre un milione di copie) con il primo libro di Fantozzi pubblicato da Rizzoli nel 1971.
Il suo successo, secondo lo stesso Villaggio, è da imputare a una grande rivista del passato, L’Europeo, che uscì con una critica molto positiva al suo spettacolo e soprattutto cominciando ad accogliere i racconti del ragionier Fantozzi.
Da quei brevi quadretti pieni di umorismo corrosivo e satira sociale ne viene fuori un romanzo-collage della vita del suo protagonista principale, un mosaico di crudeltà e cinismo, più che il semplice affresco di un personaggio.
Da subito si pensa a un adattamento cinematografico, con Salvatore Samperi inizialmente indicato come possibile regista.
Il progetto non si concretizza ed è solo il successo del secondo libro Il secondo tragico Fantozzi (di tre anni dopo) a dare il segnale di partenza per una versione cinematografica.
Le riprese iniziano nel luglio 1974, con nomi più noti inizialmente presi in considerazione per il ruolo del protagonista principale, come Ugo Tognazzi o Renato Pozzetto. In seguito, Paolo Villaggio ha ammesso che ciò è servito solo ad attirare l’attenzione sul film. Fin dall’inizio, lui e il regista Luciano Salce avevano intenzione di affidare al suo creatore il ruolo di protagonista e di non utilizzare volti troppo noti.
Le deviazioni dalla fonte letteraria sono numerose e in parte intenzionali, mentre alcune sono legate al budget, come le modifiche alle location. Ad esempio, nell’originale letterario il personaggio di Fantozzi vive a Genova, città natale di Villaggio, mentre nella versione cinematografica vive a Roma.
Fantozzi è un impiegato pusillanime e servile di una grande azienda: la Megaditta. Deferenziale e sempre pronto a scusarsi, è anche uno sfortunato pasticcione. Nel corso delle dieci storie che compongono il film, come tanti cortometraggi indipendenti, conosciamo i suoi colleghi, tutti molto tipici (il collega imbranato, il belloccio arrogante, la provocatrice, i vecchietti che giocano alle battaglie navali, il capo autoritario), ma anche la moglie e la figlia, così brutte che fa fatica a guardarle o a baciarle.
Questo piccolo mondo si muove come un teatro di marionette, dove i personaggi si manifestano senza un autentico corredo psicologico. Sono automi guidati da bisogni primari (sedurre, sopravvivere, combattere) che finiscono per alienarli.
La sceneggiatura si spinge fino all’assurdo. Non si ride spesso di questo spettacolo pietoso, e a volte la risata è strozzata da alcune sequenze molto dure, come quando i registi si prendono crudelmente gioco della figlia di Fantozzi, che ha un fisico e una voce improbabili.
Come uno dei momenti più dolorosi del film. A Natale, i figli dei dipendenti fanno visita ai direttori per ricevere i regali. Quando la figlia di Fantozzi, Mariangela (interpretata dall’allora 27enne Plinio Fernando, alto solo 1,47 metri), entra nella stanza: tutti iniziano a ridere della sua bruttezza. La chiamano “scimmietta”, la agganciano a un appendiabiti, le danno da mangiare banane e le lanciano noci. Quando Fantozzi entra nella stanza per andare a prendere la figlia, c’è un silenzio glaciale. Una scena che oggi non si potrebbe mai scrivere, mai rappresentare, mai vedere al cinema.
D’altra parte, spesso si sorride, soprattutto quando l’inventiva va oltre le stucchevoli cadute del protagonista: così il ristorante giapponese presentato come un’insopportabile dittatura, o la partita di tennis nella nebbia fitta.
Cosa rende unico Ugo Fantozzi? Tante caratteristiche, come la sua indistruttibilità per esempio. Il personaggio – eterna vittima di uomini, divinità e oggetti contundenti – è simile a un supereroe del dolore. Imperturbabile nelle situazioni più sconcertanti, cade sempre e si rialza sempre, alla maniera di un Buster Keaton.
Sembra fatto di gomma, tanto il suo corpo martoriato subisce senza portarne i segni altrimenti mortali: si congela, resta con le dita schiacciato in varie porte, si disintegra in una discesa con gli sci, s’impala su una canna di bici senza sellino. E così via, tortura dopo tortura, neanche fosse il povero Coyote che inseguendo lo struzzo Beep Beep muore sempre, senza mai morire.
Nelle sue pose più maldestre ricorda, invece, Jaques Tati e alcuni dei personaggi di Blake Edwards. Ma resta unico, originale grazie alla sua ampia gamma di umorismo: comicità di parola, supportata dalla voce fuori campo, comicità situazionale, comicità assurda e persino, più raramente, comicità puramente cinematografica (la caduta fuori campo tra i due letti, i tennisti congelati, la sciarpa rigida).
Spesso ci avviciniamo a un film d’animazione, ad esempio quando una nuvola disegnata segue l’auto di Fantozzi. Alimentato da così tanti riferimenti, il film mantiene una certa coerenza, nonostante sia diviso in sketch.
E che dire della misoginia di Fantozzi? La moglie e la figlia del personaggio sono raccapriccianti, caricaturali fino al disagio, certo, e quando sono procaci e seducenti le donne finiscono con l’essere opportuniste, superficiali e perfino crudeli.
Ma forse bisogna parlare di misantropia più che altro perché anche i maschi non sono risparmiati, anzi. Sono stupidi, asserviti, falsi, pronti a tutto, esistono solo per le circostanze imposte loro. Patetiche vittime, sono il riflesso di un’umanità incapace di staccarsi da un presente avvilente e da interessi immediati.
È la stessa feccia che ritroviamo ad ogni piano Megaditta/Mondo, e simbolicamente i dirigenti sono in cima all’edificio: i capi avidi, i dipendenti servili, nessuno sfugge a un gioco al massacro senza pietà.
Persino Gesù si arrende nel tentativo di compiere un miracolo…
Ugo Fantozzi è un personaggio trasversale e universale, tanto che “fantozziano” è diventato un aggettivo con una sua collocazione da dizionario e un suo posto stabile nell’immaginario collettivo. Un personaggio che non è invecchiato, nonostante i suoi 90 anni. Anzi, secondo quanto ha affermato Paolo Villaggio in un’intervista del 2015, Fantozzi si sentirebbe molto più a suo agio in questa nostra società rispetto a quella degli anni Settanta.
“Adesso sarebbe nel suo habitat naturale, oggi gli italiani sono tutti Fantozzi. Sono tutti rassegnati ad aspettare fino a quarant’anni senza trovare lavoro, sono quasi tutti rassegnati ai politici che abbiamo.”
Da tutti noi di CinecittàNews grazie di tutto e tanti auguri, Ragionier Ugo, tanta vita a lei!
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