Guido Guerrasio: il mio grazie alla Mostra


Nei giorni della Mostra di Venezia ha chiesto a un amico fotografo di farsi immortalare davanti al Palazzo del cinema mentre si leva il cappello per “un riconoscente grazie alla Mostra”. Perché proprio al Lido è cominciato il viaggio di Guido Guerrasio, classe 1920 e milanese, nel mondo del cinema dal lontano 1942, quando partecipò come giovane critico alla Mostra, per poi ritornarvi come autore di cortometraggi e ancora come giurato internazionale per un concorso di corti. Oltre 130 i cortometraggi e i documentari realizzati da Guerrasio: da Amalfi del 1948 fino a Catene di smontaggio del 1996, e tra i premi ottenuti il Nastro d’argento nel 1970 per i film sull’arte.

Autore, regista, documentarista, come preferisce essere chiamato?
Cineasta perché il termine indica una persona completa. Il cineasta può essere regista, critico, sceneggiatore, montatore. Nel mio caso avendo ideato, scritto, girato, montato, musicato i miei lavori, non posso che definirmi tale.

 

I suoi lavori spaziano dall’ambito artistico a quello industriale e di costume.
Sì, ho affrontato un po’ tutti i temi, qualcuno mi è stato commissionato. La maggior parte dei miei cortometraggi, come quelli su Milano e quelli sull’arte sono stati paragonati da un critico un po’ alla terza pagina, agli elzeviri, perché eleganti, colti, anche se attenti a comunicare con il grande pubblico.

Nella sua produzione troviamo anche alcuni documentari come Africa segreta del 1969 e Africa ama del 1971. Come nasce questo interesse verso quel continente?

In verità in questa occasione non ho lavorato come un regista classico. Il produttore Angelo Rizzoli mi aveva segnalato questo materiale girato in 16 millimetri da alcuni miei amici viaggiatori spericolati e matti per l’Africa, Angelo e Alfredo Castiglioni, Oreste Pellini. Non sapevo come comportarmi perché si trattava di materiale realizzato da dilettanti, impossibile da mostrare così come si presentava. Ho avuto allora l’intuizione, che ha fatto la fortuna di film come Africa segreta, di capovolgere quello che era il classico documentario girato in Africa come nel caso di Gualtiero Jacopetti che si portava dietro una troupe vera e lavorava solo in esterni.

Come è intervenuto su quel girato?
Dalle immagini consegnatemi traspariva una brutale sensazione di verità che ho pensato di trasformare in un nuovo modo di fare documentario: uno sguardo naif sull’Africa, nessuna ricerca sociale. Mi sono impadronito del materiale, poi ho diretto con una sorta di sceneggiatura quello che ancora restava da realizzare. Scorrevano le immagini di usi e costumi di numerose tribù del Centro Africa che non erano mai state visitate, per esempio i pigmei. E allora scene di vita quotidiana, come il manicomio all’aperto dove vengono curati i pazzi, il sesso. In fase di montaggio, io e mia moglie che ha sempre lavorato al mio fianco, abbiamo moderato alcune sequenze, come quella della circoncisione femminile. E quando i due film sono usciti, hanno sbancato il botteghino: oltre 3 mesi la tenitura di Africa segreta al cinema Durini. Per non parlare della gente che ha cominciato a viaggiare e scoprire quella terra.

 

Con grande sorpresa dei tanti che non credevano al successo di film di questo genere…
Mostrai Africa segreta a Rizzoli, nella sua casa di via Gesù a Milano, ma al primo nudo maschile la moglie, presente alla proiezione, se ne andò. Rizzoli mi rimproverò: “Non mi aspettavo questo da te che hai fatto un film così delicato come Dal sabato al lunedì“. Tutto il suo entourage a Roma durante la proiezione privata se ne era andato e aveva pronosticato che il film non avrebbe fatto una lira. La sera dell’uscita in sala di Africa segreta arrivò la notizia del tutto esaurito e di un incasso di 3 milioni e 300mila.

 

Merito anche della promozione da lei ideata?
Ho fatto pubblicare sul ‘Corriere della Sera’ il classico flano, questa volta un uomo nero nudo coperto dalla scritta ‘Africa e segreta , in questo film vedrete…”, inoltre ho fatto distribuire 100mila cartoline dentro e fuori lo stadio di San Siro in occasione del derby.

 

E che mi dice de L’Italia in pigiama. Costumi sessuali nelle tribù italiane, realizzato nel 1977?
L’ho fatto quasi per dispetto, per togliermi di dosso l’etichetta di ‘africanista’ che mi avevano dato. L’Italia in pigiama, è la storia di due ragazzi che si amano e vanno dallo psicologo, ma soprattutto è la storia di come i costumi sessuali venivano visti e vissuti nelle diverse parti del nostro Paese. Per esempio al Sud era morta l’ultima consolatrice, cioè colei che consolava le mogli degli uomini emigrati in Germania, o vi era la consuetudine che il promesso sposo mostrasse ai futuri suoceri la sua virilità con una prostituta: oppure al Nord si teorizzava il sesso di gruppo. Alle fine il Sud sorrideva del Nord e viceversa.

 

Quest’anno si celebra il centenario della morte di Giovanni Pascoli…

Il 20 agosto a San Mauro di Romagna hanno proiettato il mio cortometraggio La cavallina storna, che è la traduzione visiva della poesia. La Mostra di Venezia quest’anno si è dimenticata dell’anniversario. Eppure nel 1952, in occasione del quarantennale della scomparsa del poeta, lo aveva ricordato proiettando La cavallina storna, omaggio propiziato dalla Rai che in quella occasione inaugurò la prima trasmissione televisiva in collegamento dal Palazzo del Cinema del Lido.

20 Settembre 2012

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