Guido Chiesa


Guido Chiesa, a Venezia, non è venuto per parlare di politica. Ma ci si è trovato in mezzo lo stesso. Ed era inevitabile. Perché è lui il primo a spiegare Il partigiano Johnny, terzo italiano in concorso, come un film sull’impegno e anche sul presente difficile della sinistra italiana, sulla coerenza per cui “un comunista non dovrebbe portare scarpe da un milione e mezzo”. Ogni riferimento a fatti o persone note non è puramente casuale. Naturalmente.

Chiesa, perché dici che “Il partigiano” è un film sul presente?
Perché ho quarant’anni e la Resistenza non l’ho fatta. Da ragazzino ho sposato il mito dell’antifascismo, dell’ora e sempre Resistenza. Poi, anche leggendo Fenoglio, ho capito che la lotta antifascista era una cosa più complessa e umanamente affascinante.

Ma perché la Resistenza continua a suscitare polemiche?
Perché ci sono ancora ferite aperte, che vengono sfruttate ad uso e consumo della politica spicciola. A me interessava la storia di un ragazzo dentro una guerra civile, la sua odissea privata, che non è un affresco ideologico. Gli italiani con la Resistenza presero le armi senza che ci fosse un papa o un re a ordinarglielo. E credo anche i giovani di oggi, per quanto cloroformizzati, farebbero lo stesso.

Credi che le persone molto giovani ameranno questo film?
Credo di sì, anche se so che è un film inattuale. I giovani a cui l’abbiamo fatto vedere l’hanno preso come un film di guerra, però un ragazzo mi ha scritto che aveva smesso di votare e ora pensa di ricominciare. Oggi la Resistenza divide ancora… quelli che sanno cos’è e quelli che non ne sanno niente.
Pensi che il tuo film, così com’è costruito, aiuterà a capire chi non sa?

Il cinema non può sostituire la scuola, perché si limita a raccontare delle storie. Però, in un paese in cui i partigiani a volte vengono considerati come delinquenti, fa vedere un partigiano onesto e coerente. Un modello.

Secondo te, quali sono oggi le cose su cui vale la pena di impegnarsi?
Un modello alternativo di sviluppo. Bisognerebbe cominciare a porsi certe domande: è vero che internet è il futuro del mondo? È vero che se non so l’inglese sono tagliato fuori? È vero che non ci sono alternative alla globalizzazione? È vero che i modelli vincenti sono i calciatori e le fotomodelle? Un altro tema che mi sta a cuore è quello dei rapporti uomo-donna: dopo gli anni del femminismo, le donne sono di nuovo trattate come oggetti.

Cosa rispondi a chi accusa il film di revisionismo?
Che io sono per il conflitto! La lettura revisionista sarebbe un totale appiattimento… Non è revisionismo raccontare la Resistenza senza enfatizzare i contenuti politici, scegliere il lato umano.

04 Settembre 2000

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