Da noi una ricaduta vera non c’è. A volte mi sento naif, perché non ho queste paure. Sinceramente, non mi interessa di perdere lavoro se le ragioni sono queste. Non giudico chi non si esprime, ma io sono cresciuta in una famiglia di dottori, persone devote al prossimo, e mi stanno a cuore questi temi. Anche il film che ho fatto parla di un ultimo, del suo essere estremamente unico e incredibile. Io decido di dire quello che penso e sono consapevole che probabilmente non frega a nessuno, ma una parte di me crede che se lo facessero tutti le cose cambierebbero. Per quello insisto. Sono sempre stata attenta a quello che succede nel mondo. In America vedo delle cose allucinanti, una caccia alle streghe a chi si esprime.
Sì, c’è maggiore apertura. Il mestiere del regista è stato per troppo tempo appannaggio maschile. È importante incoraggiare le giovani autrici a prendere in mano la propria visione. Si fa molta polemica rispetto agli attori e alle attrici che esordiscono alla regia, ma credo sia insensato. Chi ha più possibilità, come noi attrici, deve fare di tutto per usare la propria posizione per diventare regista, se vuole. Io ho deciso di non recitare nel mio film, perché volevo mettermi alla prova dietro la macchina da presa. Sin da bambina ho sempre voluto fare la regista, volevo diventare come
Dario Argento. Le mie colleghe che hanno esordito alla regia anche da protagoniste secondo me sono spinte dalla voglia di raccontare dei bei ruoli femminili, perché in Italia mancano, e lì forse la situazione sta persino peggiorando.