Nasceva a Genova il 5 settembre 1827 Goffredo Mameli, da famiglia aristocratica: non fu musicista ma poeta e patriota, eroe del Risorgimento italiano, deceduto a nemmeno 22 anni per setticemia, causata da una ferita portata dall’ultimo assalto del 3 giugno a Villa Corsini a Roma, occupata dai francesi; nel 1849 la Penisola italiana era divisa: a Nord regnano gli austriaci nel Lombardo-Veneto e i Savoia nel Regno di Sardegna; al Centro regna Pio IX sullo Stato Pontificio, l’ultimo Papa Re; e a Sud, il trono delle Due Sicilie è dei Borboni.
Nella sua breve ma densa esistenza ha composto anche quello che è l’Inno nazionale della Repubblica Italiana (il Canto degli Italiani, componimento letterario di Mameli, poi musicato da Michele Novaro) ma, più ampiamente – nonostante fosse spesso coetaneo o comunque, appunto, malgrado la breve vita terrena – è riuscito, con le sue parole, ma anche la sua partecipazione in prima linea finché gli è stato possibile, a influenzare le scelte di un’intera generazione.
È diventato un eroe ma dapprima possedeva l’ardore e la purezza, che sul piccolo schermo – nella mini serie Mameli – Il ragazzo che sognò l’Italia , diretta da Luca Lucini e Ago Panini – ha incarnato Riccardo De Rinaldis Santorelli. “Del personaggio sapevo veramente poco, sapevo avesse scritto il Canto, ma poi studiando ho scoperto l’essenza di questa persona, piena di sfumature bellissime. Lui ha scritto questo Canto perché voleva far capire alla gente che non fosse da sola, che la pensassero tutti allo stesso modo. Lui scrive perché lui sa che c’è la possibilità di un mondo libero. È un personaggio umano e che ama, che crede nell’amicizia, nell’eguaglianza e, appunto, nella libertà, e sfrutta la sua fama ‘per fare l’Italia e essere italiani’, e non per un tornaconto personale”.
Mameli è davvero la manifestazione del concetto di “esempio”, colui cioè che con il proprio operato riesce a stimolare altre persone in comportamenti di partecipazione e emulazione o comunque a percorrere medesime strade: per esempio, dalla sua città natale, partirono con lui 300 volontari alla volta di Milano, per sostenere le Cinque Giornate; altrettanto, l’anno seguente, il 1849, vede altri 500 patrioti in direzione Roma, per difendere la Repubblica Romana.
Storicamente fondamentale, dunque immancabile, l’amico fraterno Nino Bixio, nella serie un ammaliante Amedeo Gullà che racconta: “ho provato a raccontare un ragazzo, non l’uomo politico; uno che s’imbarca da Genova a 13 anni e torna oltre 10 dopo, quindi uno che si cresce da solo, con una grande forza e grandi ideali; però Bixio diventa completo con Goffredo, assorbono l’uno qualcosa dell’altro, ed era quello su cui io volevo battere di più nel film. Interpretare Bixio è stata una responsabilità, perché è stato un uomo audace, che quindi meritava un’interpretazione audace, con tutto quello che può far rischiare”.
Questa mini serie è una biografia, uno spaccato storico, ma anche un racconto intimo, della persona, perché, quell’ardore e quella purezza che appartenevano a Mameli nella vita pubblica, non erano da meno in quella più privata di Goffredo, così è per le due storie d’amore che più si sono scritte nel suo vissuto: la prima, drammatica, perché riguarda un amore distrutto da un matrimonio obbligato per convenienza: lei era Geronima Ferretti (Barbara Venturato); la seconda, più felice, quella dell’amore eterno, giurato a Adele Baroffio (Chiara Celotto), per cui Goffredo era però consapevole di un possibile trapasso improvviso, destino di chi combatte.
Per Venturato, la sua Geronima “come tutti i personaggi femminili della serie è ‘di carattere’, ma imbrigliata in un contesto patriarcale, cosa che le fa scaturire un pensiero critico forte e la rende libera. Scegliere di essere in disaccordo è la libertà più grande. Con Goffredo condivide una visione del mondo progressista. Le vengono impedite delle scelta autonome in virtù di un destino già scritto che accomuna le donne del periodo, per cui non può studiare, non può sviluppare un pensiero indipendente e non può vivere questo amore con Goffredo. Spero si veda un personaggio forte, come tutti quelli della mini serie, questione che sposta i personaggi verso le persone e rende la realtà concreta, mostrando i processi”.
Mentre Celotto spiega come “a Adele ho cercato di dare quanta più umanità possibile, a lei che è già attuale e moderna. È una donna guerriera, una rivoluzionaria, lottatrice, e ha lottato per diritti di cui noi donne oggi godiamo, ma è anche un essere umano con il suo lato fragile e romantico, che s’innamora”.
Luca Lucini racconta che: “Agostino Saccà – produttore di Pepito Produzioni – ci ha trasmesso una visione affascinante e netta: l’idea di raccontare la storia di questi ragazzi; la cosa affascinante era raccontare quell’età in cui tutto è possibile e grazie a questa energia, questa voglia di cambiare il mondo, Mameli con le sue parole è riuscito a trasmettere la passione a tutti quelli del suo tempo, e noi l’abbiamo fatta nostra, perché un po’ ci siamo rivisti col nostro sogno, quello del cinema”.
Il tempo, intorno e tra le due storie del cuore di Mameli, gli permette di comporre l’Inno alla manifestazione dell’Oregina, lì dove fu eseguito per la prima volta e cantato da più di 30mila patrioti; in questo tempo, poi, ci furono anche la prima Guerra d’Indipendenza e la Repubblica Romana, date della Storia ma anche ricorrenze in cui Mameli divenne prediletto di Giuseppe Garibaldi (Maurizio Lastrico) e di Giuseppe Mazzini (Pier Luigi Pasini).
La mini serie racconta uno spaccato di due anni della sua vita, in cui sono stati concentrati la passione patriottica e quella sentimentale, le lotte armate e la scrittura poetica, certamente la maturazione dell’individuo, tra il radicarsi della consapevolezza e il nascere perenne di domande sociali e esistenziali.
“Il gioco è stato far scendere dai piedistalli i personaggi – dai nomi delle vie, degli svincoli, delle piazze – e scoprire che fossero veri esseri umani, e soprattutto scoprire che Goffredo Mameli fosse un giovane che non nasce imparato, ma studia, come per l’Inno, intercettando un riassunto dei buoni motivi per cui valga la pena sognare un Paese che in quel momento non c’è; l’Inno nasce per essere un flash mod, perché loro stessi lo cantano per la prima volta, su note astute perché sono l’equivalente di un coro da stadio, qualcosa di così potente che gli scappa di mano e va più veloce di loro, arrivando a essere conosciuto a Roma prima che arrivassero loro stessi”, continua Panini.
Nel cast – tra gli altri – anche Neri Marcoré nel ruolo del papà del protagonista, Giorgio Mameli; Lucia Mascino, la marchesa Luisa Ferretti, madre di Geronima; Luca Ward: Padre Sinaldi.
Una produzione Pepito Produzioni in collaborazione con Rai Fiction, per cui la direttrice Maria Pia Ammirati afferma che: “il Risorgimento è un periodo storico complicato ma noi cerchiamo una chiave sempre popolare, che ci permetta di entrare in un momento fondante del nostro Paese. La storia di Mameli, però, era abbastanza sconosciuta e il mio entusiasmo è stato proprio capire chi fosse questo ragazzo, chiave di lettura: un ragazzo di 19 anni che scrive l’Inno che ancora noi cantiamo e che muore a 22 per il sogno di un’Italia unita. È un sogno infranto, che vedrà poi la luce; oggi è un salto storico complicato da capire: c’erano bambini di 13 anni che seguivano i genitori per il sogno di un’Italia unita. Il sottotitolo – Il ragazzo che sognò l’Italia – è la nostra chiave di volta, è proprio la gioventù che abbiamo celebrato. Una grande storia italiana, che noi riportiamo attraverso individui: per una pagina di Storia non semplice, Lucini e Panini hanno tenuto in insieme tutto, dall’Inno alle battaglie, al popolo, con passione e con il tema dell’amicizia, che allora avevano un timbro diverso. Evviva, perché siamo riusciti in un’opera difficile”.
Mente per Agostino Saccà: “questa storia è nata e s’è sviluppata come scrittura in Pepito Lab. Eravamo chiusi in casa (per la pandemia) quando la gente usciva sui balconi a cantare l’Inno, e ci tenevamo caldi col Canto degli italiani in un momento di grande tristezza, paura, angoscia, e quindi era il momento… per questa storia, che pensammo di fare in maniera molto popolare: ‘raccontare la storia di una rockstar’, cosa che entusiasmò la direttrice di Rai Fiction, perché era la chiave giusta per uscire dalla polvere del Risorgimento, e credo che ce l’abbiamo fatta, che fosse necessario, facendolo diventare vivo. C’è una riflessione dietro: la polvere è la retorica; la retorica ha impolverato il Risorgimento, facendolo diventare noioso anche verso i giovani. La retorica del Partito Regio serviva a coprire tanti fallimenti. Di Mameli e dei suoi compagni dobbiamo essere orgogliosi”. E, tra i fallimenti che cita Saccà, anche Cavour, su cui annuncia: “con Rai Cinema stiamo lavorando a un film sulla sua morte: forse è morto di veleno”.
Per Mameli – Il ragazzo che sognò l’Italia, due prime serate di Rai Uno: 12 e 13 febbraio, “a seguito di Sanremo perché così c’è una coda di senso di unità nazionale; la collocazione in palinsesto non è un’operazione asettica, per questo motivo il posizionamento appena dopo il Festival. La parentesi di un’idea politica della programmazione non posso condividerla (riferendosi alla ravvicinata messa in onda de La lunga notte – La caduta del Duce, in tv il 29, 30 e 31 gennaio)”, precisa Ammirati all’anteprima, stimolata da una giornalista alla riflessione; a cui fa seguito Saccà, che afferma: “Mameli è di tutti. Lui è la prima tessera del Partito d’Azione fondato da Mazzini; se qualche giornalista ha qualche dubbio sulla Storia torni a studiare, dopodiché… basta”.
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