È prima di tutto un fatto di rilevanza storica, e poi una fiction: La lunga notte – La caduta del Duce si riferisce, infatti, alle tre settimane appena precedenti il tempo tra il 24 e il 25 luglio del ’43, quando si svolse l’ultima riunione del Gran Consiglio, organo supremo presieduto da Benito Mussolini, momento che ha segnato la fine del regime fascista.
È stato un passaggio cruciale, determinante per il futuro, e per questa messa in scena televisiva – 6 puntate in tre serate su Rai Uno, 29, 30 e 31 gennaio – è stato scelto Giacomo Campiotti alla regia, con un cast ricco di interpreti popolari, a partire da Alessio Boni, nel ruolo di Dino Grandi – accanto ad Antonietta Grandi, ovvero Ana Caterina Morariu.
Per l’attore bergamasco, la storia che coinvolge il suo Grandi – Conte di Mordano, politico e diplomatico, nonché storicamente presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni del Regno d’Italia, e soprattutto autore dell’ordine del giorno di quel Consiglio – è quella di “un dittatore che è stato destituito grazie a una votazione: Mussolini, nel delirio di onnipotenza, pensava di poter vedere chi fossero i traditori per farli fucilare, e invece no; umanizzare le famiglie raccontate è fondamentale per capire. Lo sliding doors è stato il voto, che ha avuto un appiglio costituzionale, con Mussolini che da solo s’è tirato la zappa sui piedi. Era tutta una congiura: queste persone stavano nei palazzotti a giocare a bridge o fuori a giocare e golf, mentre il Paese stava nello sfacelo. Il personaggio di Grandi mi ha portato dentro un mondo a me lontanissimo, ma che ci appartiene e, al di là del fatto politico, va studiato e fatto sapere, e la tv pubblica ha il dovere di farlo. Avevamo paura di un’agiografia, era facile scivolare nel retorico, ma invece è una serie capace del concetto di suspense che spiegava Hitchcock a Truffaut: questo film arriva continuamente addosso con una suspense che poi approda a un afflato finale di liberazione”.
La moglie di Grandi, poi, come spiega Morariu “è una donna molto indipendente, molto moderna. Lei ama la moda ma non si tira indietro dal dire al marito cosa pensi. È una donna apparentemente semplice, e nella sua semplicità difficile da rendere interessante. Dico ‘grazie’ alla Rai per l’attenzione di portare avanti la Storia: Antonietta Grandi era la Piccola Storia dentro la Grande Storia, come noi adesso siamo Piccola Storia dentro la Grande che accade sotto i nostri occhi tutti i giorni, per questo è molto importante da raccontare”.
Giacomo Campiotti spiega che: “fare un film solamente storico non mi avrebbe interessato. Era una storia che non conoscevo, ma raccontava una cosa grossa, cioè che Mussolini era stato messo in minoranza da alcuni suoi gerarchi. Nella storia c’era la possibilità di entrare nella case e nelle relazioni dei personaggi, che è il mio mondo: una cosa rischiosa perché sono personaggi pubblici, ma era questo che m’interessava. Dopodiché, ho cercato di creare una tensione continua, che poteva anche questa essere pericolosa da mettere in scena, infatti mi sono proprio divertito a fare il regista, più di altre volte, anche per l’unità di direzione di tutti”.
Naturalmente, non poteva mancare “la famiglia” Mussolini – con Edda e Galeazzo Ciano, interpretati da Lucrezia Guidone e Marco Foschi – e appunto lui, il Duce, evocato nel titolo e perno della vicenda; a dargli vita sullo schermo è Duccio Camerini, per cui “è difficile quel personaggio, perché Mussolini era un attore, e non sempre un buon attore, a volte molto capace nella comunicazione, a volte esagerato; abbiamo trovato un modo di reinventarlo, senza imitazione. Mi piace molto come viene raccontato il personaggio di Alessio, la sua ambiguità, il suo essere narrato come un eroe non facendone un santino. Mussolini è un re shakespeariano in caduta: abbiamo visto un personaggio fragile, smarrito, anche dentro le sue violenze”.
E, a completare il consesso della cerchia intima, lei, l’amante del Duce, Claretta Petacci, ruolo affidato a Martina Stella che racconta come: “Campiotti mi ha offerto una sfida. Petacci è una donna già presente nell’immaginario, ma anche enigmatica e misteriosa, che noi descriviamo in maniera oscura, nera; la sfida era per me lavorare sulle ombre, sui conflitti di questa donna, dal carattere psicologico inafferrabile in alcuni momenti. Un rapporto, quello di lei con Mussolini, totalizzante, privo di confini, quindi anche pericoloso”.
Mentre, altra figura femminile storicamente rilevante, insieme alla più ampia “famiglia monarchica”, è Maria Josè del Belgio, recitata da Aurora Ruffino, per cui: “la cosa importante è stata scoprire il personaggio incredibile che ho interpretato. Il suo soprannome era ‘l’unico uomo di casa Savoia’, perché ha avuto la forza di fare qualcosa per gli italiani. Lei cercava un po’ di svegliare il marito, di spingerlo verso un pensiero indipendente: lei sentiva la responsabilità del suo ruolo, un destino che sin da bambina le era andato incontro, e voleva diventare regina per accudire il popolo italiano, per lei un altro figlio. Campiotti è un grandissimo capitano di set che guida con amore e visione, di cui fidarsi totalmente”.
La chiusura del cerchio della monarchia è affidata a Flavio Parenti per Umberto di Savoia e a Luigi Diberti per Vittorio Emanuele III.
La serie – con la consulenza storica del Professor Chessa – è una coproduzione Rai Fiction – Èliseo Entertainment, prodotta da Luca Barbareschi.
Per Maria Pia Ammirati – direttore Rai Fiction: “la Storia è sempre complicata, è fatta da uomini e donne, ma anche da intrighi, sotterfugi, confini. La Storia è un luogo in cui tornare per riflettere, senza intento nostalgico. L’andamento è quello della Grande Storia, ma anche un andamento da thriller. Da una parte l’evento si considera una trappola, dall’altra è una verità storica, con alcune piccole invenzioni. Lo spirito di questa serialità, nel solco del Fascismo e della Seconda Guerra Mondiale, è la necessità di capire una complessità che probabilmente non è ancora finita. È una serie molto ricca, che gioca su varie linee narrative, che coinvolgono i grandi personaggi storici, le donne che giravano intorno a Mussolini, la situazione di difficoltà di controllare il perimetro del nostro territorio, la storia della gente comune, stremata: c’è quindi la storia dei ‘piccoli’, di noi, di volta in volta schiacciati dalla Grande Storia, e la stessa. C’è grande ambizione in questa serie, che abbiamo deciso di mandare in onda per tre serate di seguito, per ravvicinare tutte le storie, in fila, sperando così siano più leggibili, più piene di pathos e thriller. La serialità sarà anticipata da un box set su Rai Play, per sottolineare il nostro passaggio dall’analogico al digitale: anche questo significa distribuzione. Questo pezzo di Storia è raccontato di meno, però abbiamo provato a stare addosso alla Storia, cercando di capire quanto oggi possa essere vista e rivista”.
Luca Barbareschi fa seguito e spiega che: “questo è progetto che nasce da una stesura teatrale: l’idea era di vedere cosa succedesse all’interno di una stanza, con queste persone che lavoravano intorno al Duce. La storia è diventata necessaria per quello accaduto nel nostro Paese, dove finché non ci sarà un racconto pacificante su quanto successo è difficile crescere, se non si fanno i conti col passato. Quando ho fatto l’onorevole ho cercato per cinque anni di proporre un convegno sul Fascismo e sul Comunismo, per raccontare alle generazioni ultime, che davvero non sanno nulla: il problema, oggi, sarebbe rielaborare, capire, vedere cosa sia stato il secolo scorso, alfabetizzare e andare avanti con una generazione che possa pensare da sola. Viviamo in un tempo di stupidità assoluta, in cui il cretino ha una grande forza: io da produttore e editore ho una grande responsabilità. Un ringraziamento particolare ad Alessio Boni, un viso che mi ha fatto innamorare in tante cose, con una disciplina e una potenza interpretativa enormi. La responsabilità della Rai, nella narrazione e nell’educazione del Paese, è ancora importante”.
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